Salute. Tabagismo: un problema di salute collettiva
NAPOLI – Il 31 maggio di ogni anno ricorre il World No Tobacco Day, la Giornata Mondiale senza Tabacco, momento in cui l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), attraverso il suo Osservatorio sul Fumo (OSSFAD), diffonde i dati rilevati nel corso dell’annualità precedente attraverso l’indagine DOXA. Secondo il rapporto OSSFAD del 2015, i dati sul tabagismo in Italia si mantengono sostanzialmente simili negli anni di monitoraggio che vanno dal 2001 a oggi: il fumo di sigaretta è più frequente fra le classi socioeconomiche più svantaggiate, quelle cioè con meno istruzione e/o con maggiori difficoltà economiche; il numero dei fumatori, seppur con una significativa flessione in alcuni anni, si attesta intorno a una media del 23% della popolazione, passando dal 28,9% del 2001 al 22,7% del 2011, fino al recente 20,8% rilevato nel corso del 2014. L’età di iniziazione rimane stabile attestandosi intorno ai 17 anni, di fatto circa il 73,0% dei fumatori ha iniziato a fumare tra i 15 e i 20 anni e il 12,9% anche prima dei 15 anni, con la classica motivazione che rimane constante nel tempo: omologazione al gruppo dei pari, argomento che ha spinto il 61,3% dei fumatori a iniziare nonostante la sempre più chiara informazione sui danni provocati dalle sigarette.
Secondo le stime del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (EpiCentro), che attraverso il programma di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) raccoglie informazioni dalla popolazione italiana adulta (18-69 anni) sugli stili di vita e i fattori di rischio comportamentali, per il quadriennio 2012-2015 il fumo è in calo in tutti i sottogruppi della popolazione, in particolar modo tra le classi sociali più agiate, e la prevalenza di fumatori non disegna un chiaro gradiente geografico anche se in alcune regioni si registrano le quote più alte di fumatori. Nello specifico Umbria, Lazio e Campania si caratterizzano per la più alta quota di fumatori, riportando rispettivamente una percentuale del 30,1%, 29,6% e 29,3%.
Il tabagismo, nella sua specificità di patologia, è ancora scarsamente considerato nell’ambito sanitario pubblico e, di conseguenza, il trattamento per la disassuefazione dal fumo di sigaretta è connotato da inadeguata sistematizzazione dei modelli assistenziali. Questo nonostante tale problematica abbia una ricaduta, in termini di mortalità per patologie fumo-correlate, stimabile tra 70.000 e 83.000 morti all’anno solo in Italia, una cifra di gran lunga superiore al totale complessivo di morti per droga, alcol, incidenti stradali e incidenti sul lavoro messi assieme. Riguardo l’impatto sanitario dovuto al fumo passivo, ancor più sottovalutato e l’aumento del rischio di tumore polmonare del 26% e di malattia coronarica del 23%. L’effetto sulle casse della comunità poi è altrettanto sconfortante: l’8% della spesa sanitaria pubblica totale è impegnato per affrontare le diverse e numerose patologie fumo correlate. Evidenze, tutte queste, che inducono l’Organizzazione Mondiale della Sanità a considerare il fumo di sigarette come la seconda causa di morte nel mondo e principale causa di morte evitabile e prevenibile. A fronte di queste certe e rilevanti evidenze, non si è ancora radicata nell’opinione pubblica, ma purtroppo spesso nemmeno negli operatori sanitari, la rappresentazione del tabagismo quale grave problema per la salute collettiva.
Sul modo di combattere il tabagismo e circa le prospettive future di trattamento ne abbiamo parlato con il Dott. Antonio Perillo, Dirigente Psicologo presso la ASL NA 3 Sud e responsabile dell’Ambulatorio per la Prevenzione e Cura del Tabagismo – Centro Antifumo di Pomigliano d’Arco.
Dott. Perillo perchè è dannoso il fumo di sigaretta?
«Il pericolo insito in una sigaretta non è tanto determinato dalla nicotina, seppur sostanza psicoattiva che induce la dipendenza nel fumatore, utilizzata anche in agricoltura nella formulazione di vari insetticidi per le sue caratteristiche di potente veleno neurale, quanto piuttosto dalle circa 4000 sostanze chimiche che vi si ritrovano in essa.»
Che cos’è la nicotina?
«La nicotina, la più nota, viene assorbita facilmente dalle mucose dei bronchi e degli alveoli attraverso il sangue e raggiunge rapidamente, in circa 7 secondi, il cervello e i principali organi bersaglio: ghiandole surrenali, fegato e l’apparato broncopolmonare. Come tutte le sostanze psicotrope d’abuso, anche la nicotina agisce su quello che ormai conosciamo come il centro cerebrale del piacere: il Sistema Mesolimbico Dopaminerigico; parimenti alle altre “droghe” la sua azione è di incremento della concentrazione intrasinaptica di dopamina, sopratutto a livello del Nucleo Accumbens; inoltre, così come agiscono gli stimolanti psicomotori (cocaina e anfetamine), è in grado di inibirne il ricatturamento (reptuke). Gli effetti gratificanti che ne conseguono aumentano la probabilità di continuare a fumare, determinando il comportamento ripetitivo e spesso compulsivo. L’evidenza poi che il fumatore deve sempre mantenere costante il livello sierico di nicotina nel cervello, in particolare al mattino appena sveglio, è l’espressione di un vero e proprio neuroadattamento.»
Quali sono le altre sostanze tossiche a cui faceva riferiva?
«Come accennavo, i danni maggiori al fumatore non li procura la nicotina ma le altre 3.999 sostanze tossiche. Iniziamo dalle altre due che, per legge, sono riportate su ogni pacchetto: monossido di carbonio e il condensato. Quest’ultimo, definito anche catrame, è il prodotto che deriva quando il fumo si raffredda e, condensandosi, forma una sostanza catramosa che si deposita nei polmoni; in questo condensato sono contenute a loro volta altre sostanze chimiche: tra le più note ritroviamo il benzopirene, le nitrosammine e la betanaftilammina. Il benzopirene è una delle prime sostanze di cui si è accertata la cancerogenicità, le nitrosammine provocano mutazione genetica del DNA e la loro assunzione è associata col cancro dello stomaco, mentre la betanaftilammina a quello della vescica. L’altro componente, il monossido di carbonio, è un gas venefico che si sviluppa in tutte le combustioni; per le sue caratteristiche (incolore, insapore, inodore e non irritante) è tristemente noto per le morti accidentali che provoca negli ambienti chiusi riscaldati da stufe o camini che disperdono tale sostanza. Una volta inalato, il monossido di carbonio dai polmoni passa nel sangue e poiché la sua affinità per l’emoglobina (la proteina che trasporta l’ossigeno) è 240 volte maggiore di quella dell’ossigeno, sostituisce quest’ultimo nel legame con l’emoglobina, formando la carbossiemoglobina (COHb). Questo composto fisiologicamente inattivo, al contrario dell’emoglobina, esercita un’azione inibitoria tale che i globuli rossi non sono in grado di garantire l’ossigenazione ai tessuti, in particolare al cervello e al cuore. Il ridotto apporto di ossigeno stimola l’organismo a produrre più globuli rossi, così che il loro numero diventa più alto del normale (poliglobulia), con la conseguente predisposizione all’occlusione dei vasi sanguigni (trombosi). Inoltre l’ossido di carbonio rende più permeabili le pareti delle arterie, facilitando la formazione di edemi (anomalo accumulo di liquidi) e di depositi di colesterolo nelle arterie (aterosclerosi). Tenendo presente che le concentrazioni di COHb circolanti nel sangue sono da ritenersi fisiologiche quando minori dell’1%, e che già ad una percentuale del 2-5% si iniziano a manifestare i primi segni di alterazione che vanno dall’aumento delle pulsazioni cardiache e della frequenza respiratoria ai disturbi psicomotori, nei tabagisti le concentrazioni di COHb variano dal 6% al 20%, in proporzione del numero di sigarette fumate. Nella lavorazione del prodotto finale, la sigaretta, vengono poi utilizzati alcuni additivi per addolcire il sapore acre del tabacco, è il caso a esempio della liquirizia e del cacao, ma anche sostanze come gli alcoli, i glicoli e i chetofi, utilizzate per le loro proprietà aromatiche ed emollienti, verosimilmente utilizzate nella sigaretta per rendere il fumo meno irritante e più facile da inalare. Così pure le amine, che aiutano la liberazione della nicotina, servono a rendere la nicotina più disponibile. Tra le altre sostanze presenti nel fumo di sigaretta si ritrovano anche diversi idrocarburi policiclici aromatici, due differenti gruppi di radicali liberi e ossidanti che ricoprono un ruolo di primo piano nella genesi di alcune patologie fumo correlate quali l’enfisema e il tumore polmonare. ‘Dulcis in fundo’, si rinviene la presenza di sostanze radioattive che provengono dai fertilizzanti a base di fosfati con cui sono trattate le piantagioni di tabacco per ottenere maggiori rese. Uno dei più importanti elementi radioattivi ritrovati è il polonio 210 che è un noto alfa emittente. Le radiazioni alfa hanno un elevato potere ionizzante e, di conseguenza, sono particolarmente dannose quando entrano in contatto con i tessuti viventi. La pericolosità del polonio 210 è legata al fatto che, come le altre sostanze, alle temperature di combustione di 850 gradi della sigaretta, volatilizza e viene inalato in parte libero e in parte tramite la componente corpuscolata; ne deriva una deposizione rapida sui tessuti dell’apparato respiratorio dove viene trattenuto dal muco bronchiale. Secondo le stime si è ipotizzato che un fumatore di circa 20 sigarette al giorno assorbe in questo modo, in un anno, una quantità di radiazioni pari a quella che riceverebbe facendo 25 radiografie al torace eseguite in antero posteriore.»
Come si diagnostica e cura il tabagismo?
«Un facile strumento diagnostico è il Test di Fagerstrom, un questionario a 6 items, autosomministrabile e di immediata risposta. Ci sono poi i criteri dettati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Dianostic and Statistic Manual of Mental Disorders) edito dall’American Psychiatric Association, oggi alla sua quinta edizione (DSM-V), che ha inserito il tabagismo nell’ambito dei disturbi da sostanze. La diagnosi viene poi graduata su un continuum di gravità per cui si può parlare di un disturbo lieve in presenza di due/tre sintomi, moderato se i sintomi salgono a quattro/cinque, grave se si manifestano almeno sei dei sintomi descritti.»
Che tipo di offerte terapeutiche esistono attualmente?
«In commercio molti sono i prodotti e le offerte terapeutiche proposte, troppo spesso limitate a un approccio farmacologico o di altro natura, comunque parziale. Nel primo caso è molto frequente l’indicazione di sostituti nicotinici (NRT), in formulazione di gomme o cerotti; più raramente avviene la prescrizione di bupropione, una molecola altrimenti utilizzata come antidepressivo; più di recente l’utilizzo di vareniclina, un agonista parziale dei recettori nicotinici da qualche anno sul mercato italiano. Sull’altro versante, le proposte sono variegate e spaziano da prassi suggestive quali l’ipnosi, al metodo avversativo, basato sul tentativo di provocare repulsione al fumo di sigarette; dall’applicazioni di agrafe o magneti, alle metodiche agopunturali di una sola seduta. Metodologie, tutte queste, che sicuramente possono essere considerate supporti nella terapia di disassuefazione, ma che a nostro parere si rivelano poco efficaci se non accompagnate da un percorso motivazionale e di sostegno psicologico. Nella pratica clinica risulta infatti evidente che i soli presidi non riescono a garantire, nella maggior parte dei casi, il mantenimento in “drug free” del paziente tabagista che, come ogni “drug addicted”, ricade frequentemente nella sua dipendenza, a volte anche a distanza di anni. Così è nostra convinzione che pretendere di curare una dipendenza patologica, qual è il tabagismo, semplicemente attraverso la detossificazione dalla sostanza nicotina è un’impostazione terapeutica fallace e fallimentare innanzitutto perché riduttiva, incapace di guardare alla complessità del fenomeno, vantaggi secondari in primis. Chi, nel suo quotidiano professionale, è coinvolto nel trattamento delle varie forme di dipendenza, ben sa come tali patologie coinvolgano diversi piani psico comportamentali e sociali (gestualità, ritualità, aspetti affettivi, psicodinamici, valenze relazionali etc.), relativi all’uso della sostanza e/o al comportamento d’abuso. Parafrasando Mark Twain, potremmo affermare che “non è difficile smettere di fumare”, evento temporaneo raggiungibile in diversi modi, ma mantenere il risultato ottenuto. Obiettivo, questo, difficilmente perseguibile quanto più il frutto della cessazione è prodotto in maniera rapida e ‘miracolistica’, risultato di una totale delega all’esterno piuttosto che attraverso un processo di presa di coscienza, della propria condizione di dipendenza, e di scelta responsabile tesa verso un percorso evolutivo. Date queste considerazioni è chiaro che il maggior lavoro che il fumatore deve compiere è nelle fasi successive alla cessazione e l’approccio di gruppo costituisce, a nostro parere, il miglior orientamento applicabile poiché facilita il superamento delle resistenze al trattamento, funzionando anche da incentivo per ognuno.»
Che tipo di attivitá svolge il vostro centro?
«Il nostro metodo di disassuefazione dal tabagismo è basato su un lavoro di gruppo, a cadenza settimanale, attraverso l’applicazione di una metodica di tipo cognitivo comportamentale, in grado di accompagnare il fumatore in quel percorso di cambiamento di stile di vita fondamentale per risolvere detta patologia. La vareniclina, i fitopreparati, l’agopuntura auricolare (acudetox), che talora consigliamo ed applichiamo, vengono da noi introdotti con un ruolo di supporto, importante, ma efficace solo se considerato e utilizzato all’interno di un approccio integrato al problema della dipendenza al fumo di sigaretta. Seppur il paziente tabagista è solitamente preoccupato di non saper come affrontare i primi giorni di astensione dal fumo di sigaretta, per una supposta crisi astinenziale, nella realtà clinica si assiste invece alla difficoltà di costoro di affrontare, nelle settimane successive il condizionamento psicologico, talora anche di tipo ambientale, strutturato in anni di abitudini da fumatore. Si assiste così a frequenti ricadute associate a momenti conflittuali in ambito affettivo o lavorativo, le cui dinamiche spesso rivelano l’insidia dell’autosabotaggio. L’approccio di gruppo, dove ognuno costituisce un potenziale ‘Io’ ausiliario dell’altro, dà la possibilità a ognuno di riflettersi in uno ‘specchio’ capace di rimandare un’immagine chiara e definita di queste dinamiche. Il gruppo, inoltre, facilita il superamento delle resistenze al trattamento della disassuefazione poiché il fumatore, entrando in relazione con l’altro portatore di una stessa identità e di uno stesso interesse, rende prevalente il senso di identificazione con lo scopo, il senso di reciprocità e il mutuo sostegno, armi vincenti per affrontare quei meccanismi emotivi e comportamentali che invece rinforzano la dipendenza tabagica e ne favoriscono la ricaduta. Queste ultime, qualora dovessero esserci, vengono ricondotte a una gestione di gruppo, sdrammatizzante e rassicurante, capace di rammentare a ognuno che non va vissuta come un fallimento ma come una tappa del percorso di crescita: smettere di fumare non è un evento ma un processo di cambiamento, a volte lento e insidioso. Il percorso di norma si svolge su 6 incontri, ma talora è necessario appunto più tempo per stabilizzare il risultato e, comunque, una volta raggiunto il quit day, invitiamo i nostri pazienti a permanere nel gruppo per meglio radicare la scelta di non fumo, ma anche per condividere l’esperienza fatta con il gruppo dei neofiti.»
Una breve esperienza che l’ha colpita particolarmente?
«L’esperienza che ogni volta mi colpisce, seppur ogni volta si ripropone, è vedere il cambiamento psicofisico di ognuno, di tutti quelli che seguono il percorso. Al primo incontro il fumatore è scuro in volto, cianotico nella pelle e scoraggiato nella possibilità di potersi autodeterminare. Nella prima seduta di gruppo è muto, intimidito e tanta è la sua sfiducia che spesso dubita delle testimonianze positive di chi ha già sperimentato il percorso. Poi resiste strenuamente a determinare il giorno di cessazione, teme di affrontare il primo giorno di astensione, fantasticando sofferenze estenuanti e incontrollabili. Poi quel fatidico giorno arriva senza sofferenza, anzi donando serenità e benessere, incredulità e piacere. Nel giro di una settimana la pelle rifiorisce e l’autostima cresce, il volto si ossigena, si illumina e la persona sembra quasi ringiovanire, l’umore migliora e la testimonianza di condivisione diventa fondamentale.»
C’è qualcosa di non corretto che sente dire spesso?
«…Poche sigarette al giorno non fanno male. Con tutto lo smog che inaliamo cosa vuoi che faccia una sigaretta… In uno studio condotto dall’Istituto Nazionale Tumori Fondazione IRCCS di Milano, che ha analizzato le polveri sottili emesse per 6 minuti rispettivamente dallo scarico di un’auto a benzina, di una a diesel, confrontandolo poi con quelli di un fumatore, è emerso che per il PM 10 l’aumento è stato rispettivamente del 18,5% per il diesel; 15,9 per la benzina e 131,4% per la sigaretta. A riguardo del PM 2,5 il diesel si è attestato al 62%, la benzina al 75% e la sigaretta perfino al 1308,2%. Infine per il PM 1, le particelle che non riescono a essere filtrate dai polmoni e si diffondono direttamente nel sangue, le cifre sono impressionanti: 200% per il diesel, 93% per la benzina e addirittura il 6.413,2% per le sigarette.»
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