Teatro. Successo in Germania per l’opera messicana “Macario”
SAARBRUCKEN – Si è conclusa venerdì 4 novembre la tournée teatrale della compagnia “Los Mutantes”, gruppo teatrale ispanico che con la pièce “Macario” ha allietato il pubblico del Teatro Canossa, locale della città universitaria tedesca, per tre sere consecutive.
La rappresentazione prende le mosse da un’opera di Bruno Traven, autore presumibilmente tedesco, ma di cui si ignorano le reali generalità a causa dei tanti pseudonimi adoperati. Attivo nella metà del ‘900, ha soggiornato per anni in Messico, patria di molti dei personaggi della sue narrazioni. Edito nel 1950, due anni dopo il conferimento del premio Oscar al film “Il tesoro della Sierra Madre”, tratto dall’omonimo libro di Traven, “Macario” racconta la storia di un uomo di umile estrazione sociale che trascorre le sue giornate tagliando legna e sognando il giorno in cui finalmente potrà mangiare una cena senza dividerla con la moglie e i suoi bambini. Il suo desiderio più grande infatti è poter gustare in solitudine un tacchino intero, senza sguardi affamati con cui contendersi la pietanza.
La moglie, venuta a conoscenza del suo sogno, decide di accontentarlo e di comprare un volatile da preparargli, affinchè possa mangiarlo da solo nel bosco. Ciò che Macario non può immaginare tuttavia, è che ogni qualvolta tenterà di addentare la preda, qualcuno andrà a fargli visita: il Diavolo, a cui egli nega un pezzo del volatile in quanto gli appare ben vestito e quindi non bisognoso di essere sfamato; Cristo, a cui Macario rifiuta un assaggio in nome della capacità del figlio di Dio di poter sfamare folle con poco e dunque non bisognoso di cibarsi di un volatile tanto prezioso invece per lui, soprattutto se il Padre è possessore di tutti gli uccelli del mondo; ultima ad apparirgli è la Morte, a cui Macario dà metà del suo cibo perché fortemente impressionato da quella figura deperita. Per premiarlo della sua generosità, la Morte gli regala un unguento magico con cui egli potrà salvare dalla morte qualsiasi persona a sua scelta, a patto che sia salvabile: nel momento in cui Macario si fosse avvicinato al moribondo, avrebbe scorto la morte al suo capezzale se la persona non fosse stata in condizioni di essere salvata. Nel corso della sua vita riesce a salvare tante persone, rimanendo incorruttibile e di animo buono. Un giorno tuttavia, il governatore gli ordina di salvare suo figlio oppure Macario stesso sarà bruciato vivo nella piazza del paese, evento che getterebbe disonore sulla famiglia di Macario e la priverebbe dei soldi guadagnati nel corso degli anni. Ancora una volta, la Morte viene in aiuto di Macario: non potendo fare in modo che Macario curi il bambino, la Morte fa in modo che l’uomo stesso muoia prima dello scadere del tempo concesso dal governatore.
Alla fine del racconto lo spettatore è rapito da un’atmosfera onirica che rende quasi impossibile capire il vero svolgersi delle vicende. L’allegoria del tacchino infatti, soprattutto se calata in un’epoca in cui pochi messicani potevano permettersi un piatto tanto prelibato ed erano invece costretti a cibarsi quasi esclusivamente di legumi, è un chiaro esempio di come a volte sia possibile giungere ai propri obiettivi, ma impossibile protrarne i benefici per un tempo illimitato.
Lunghe e intense le settimane di prove per uno spettacolo, salutato dalla cronaca locale con grande entusiasmo, che si prefigurava come un tentativo di coesione tra due realtà all’apparenza molto differenti, quella ispanica e quella germanica. Impegnati nello spettacolo ragazzi provenienti dal Perù, dal Cile, l’Argentina, il Canada, l’Equador, il Messico, la Colombia, il Portogallo, la Turchia, la Spagna e la Germania.
Il regista, Thomas Antoine Espinoza López, è un giovane violinista originario di Puebla de Zaragoza, una città nel cuore della penisola messicana, diventato anche compositore, per lo più elettronico, in seguito a un praticandato all’INM Leibniz-Institut für Neue Materialien di Saarbrücken. Alla sua cura si deve l’accento posto sul rapporto uomo-morte, tanto caro al popolo messicano, che si riflette anche nella scelta di attendere il giorno in cui si commemorino i defunti per dare inizio alla fruizione dell’opera da parte del pubblico.
«Mio padre mi raccontava questa storia da bambino, me la porto dietro da più di vent’anni» ci racconta. Questa esperienza è stata infatti per lui una sfida personale, che ha definito straordinaria. Nonostante senta ormai la Germania come sua seconda casa, dopo mesi di “aria Saarlandese” non fatica ad ammettere la nostalgia per i luoghi in cui tornerà a breve, per preparare gli spettacoli successivi che metterà in scena a partire dal mese di marzo 2017.
By Zaira Magro