Sport e disabilità. Napoli incontra il sitting volley
NAPOLI – In data 21 novembre, il centro commerciale Auchan di via Argine ha ospitato un allenamento di sitting volley organizzato dall’associazione di promozione sportiva “Pallavolo Polisportiva Ponticelli”. L’evento è nato dall’obiettivo di far conoscere questa disciplina paralimpica a curiosi e aspiranti atleti.
Il sitting volley è conosciuto anche come pallavolo paralimpica, poiché si presenta come una variante del noto sport, praticata da persone affette da disabilità motorie. Nasce nel 1954 in Olanda, per poi esser riconosciuto come disciplina paralimpica nel 1980. In Italia, a partire dal 2013, il sitting volley diventa disciplina sportiva. Gli atleti giocano da seduti, senza l’ausilio di attrezzature sanitarie: questo fa sì che normodotati e disabili possano praticare insieme il sitting volley.
A Napoli quella di Ponticelli non è l’unica realtà che si propone di dare spazio al sitting volley. Un altro gruppo di atleti sta formando una nuova squadra grazie all’iniziativa del tecnico Antonello Nolletti. A lui abbiamo rivolto le nostre domande.
La sua esperienza come tecnico di sitting volley?
«Nel 2010 ho iniziato ad allenare la squadra di Mondragone, quando il sitting non era ancora riconosciuto dal settore paralimpico in Italia. La nostra è stata la prima squadra del sud. Nel 2014 sono diventato responsabile tecnico della regione Campania e lo sono stato fino a maggio 2016. Negli ultimi anni la Campania è stata tra le regioni italiane che contano il maggior numero di disabili, quindi abbiamo fortemente pressato affinché si tenesse un campionato per regioni di soli atleti paralimpici. Questo campionato si è svolto nel luglio 2015 e l’abbiamo vinto, siamo stati i primi campioni d’Italia come squadra.»
A chi si rivolge il sitting volley?
«In linea di massima a persone con amputazioni. Il vero limite è che chiunque giochi a sitting deve avere la possibilità, stando seduto, di mantenere il busto eretto. L’importante è che si abbia un minimo di controllo del busto senza la necessità di aiutarsi con le mani. Non è consigliabile a chi ha problemi seri alla schiena. E’ rivolto inoltre a persone che abbiano problemi ortopedici, protesi alla tibia, alle anche, caviglie o mani. In campo cinque atleti su sei presentano una disabilità piena, l’altro una disabilità minima. In teoria anche chi ha la schiena bifida può partecipare, chi ha lesioni neuromotorie parziali, quindi non dovute a lesioni da incidente. Anche persone affette da sclerosi multipla e da altre patologie neuromuscolari.»
E’ aperto anche ai normodotati?
«Io non sono d’accordo, nel caso di competizioni serie con valore nazionale o internazionale, a mettere normodotati a terra, perché il sitting è comunque una disciplina paralimpica. In palestra il normodotato è fondamentale per allenare i ragazzi, i pallavolisti possono insegnare la disciplina a chi non l’ha mai praticata. Questi però non dovrebbero essere formati per diventare giocatori di sitting, anche se la federazione sostiene che il sitting è aperto ai normodotati. Questa non è una situazione positiva, perché succede che, se anche l’atleta disabile è fortissimo, paradossalmente un atleta normodotato presenta una forma atletica migliore. Questo è un danno per il disabile, perché non solo non lo si forma, ma lo si fa vivere in un contesto poco sereno, perché accade che la maggior parte della partita la giocano i normodotati.»
Come nasce l’idea della nuova squadra a Napoli?
«Non essendo più il tecnico di Mondragone, sto cercando di creare un gruppo qui a Napoli. Già quello che si sta facendo a Ponticelli mi fa piacere, perché Napoli è enorme e coprire tutti i quartieri sarebbe ottimo. La mia idea comprende anche quella di far collaborare più realtà a Napoli; una sorta di portale al quale far afferire gli atleti da ogni parte della città per farli spostare il meno possibile. Fatte le dovute verifiche sulla possibilità di realizzare il progetto, mi piacerebbe che tutti gli atleti avessero la possibilità di allenarsi insieme, in qualsiasi palestra. E’ una cosa di cui poi andrebbe informata la federazione della Campania. Vorrei che non ci fossero né rivalità né alleanze isolate, che secondo me non fanno bene allo sport: la mia idea è quella di creare una grossa squadra a Napoli, possibilmente facendo collaborare più realtà partenopee.»
Questo progetto è indirizzato anche a coloro che non sanno giocare a pallavolo?
«Assolutamente sì. Nello sport paralimpico non serve avere un grande background tecnico, molte persone che hanno iniziato da zero sono diventate forti, anche a livello nazionale. E’ un mondo diverso, anche l’età media è molto più alta. Non dovendo saltare, molti problemi sono arginati, si verificano anche meno infortuni. A me farebbe piacere che venissero anche persone che non hanno mai fatto assolutamente niente, noi siamo aperti a tutti. Sia a chi voglia aiutarci negli allenamenti sia agli atleti disabili che non hanno mai fatto sport.»
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