Napoli. Medicina Democratica: “Sanità Campania è al collasso. La protesta serve alla Salute come una medicina”
NAPOLI – E’ emergenza nella provincia di Napoli, dove molti sono gli ospedali che soccorrono i pazienti nel caos e nella totale impreparazione, con scene di medici costretti a rianimare per terra gli infermi o ad assistere nei corridoi, su barelle improvvisate, anziani e feriti, in attesa di posti liberi per i ricoveri da occupare.
Video girati nel Pronto Soccorso del Cardarelli di Napoli, e immagini scattate all’Ospedale di Nola, in provincia di Napoli, ritraggono la condizione degli istituti sanitari campani, nei quali medici e pazienti sono costretti a sopportare calvari dagli esiti spesso drammatici. Tuttavia, i casi di mala sanità non si limitano agli istituti pubblici. Persino nelle cliniche private la situazione diventa insostenibile, sia per l’elevato numero di pazienti che quotidianamente si riversano nei centri, sia per i relativi tagli del personale e della logistica; tagli che privano di ogni minima possibilità di prevenzione e di cura i casi di patologie più o meno gravi. Ma le inefficienze vanno al di là dei succitati casi, essendo da ricercare nella mancanza di welfare dedicato alle classi meno agiate, totalmente recluse nell’indifferenza dell’hinterland napoletano e della provincia, territori privi di collegamenti con gli istituti maggiori e di mezzi necessari e fondamentali per la tutela dell’imprescindibile diritto alla salute.
Data l’attuale situazione, abbiamo rivolto le nostre domande a Paolo Fierro, vicepresidente di Medicina Democratica, un’associazione fondata dal Prof. Maccacaro, che da oltre 40 anni difende il diritto alla Salute nei luoghi di lavoro e nei relativi territori. Associazione impegnata in Campania nel Comitato per la Sanità pubblica di Napoli e nella Rete Campana per il diritto alla salute.
Qual è lo stato dell’attuale emergenza sanitaria in Campania?
«Noi di Medicina Democratica, e ci tengo a dirlo, non siamo un gruppetto di medici “radicali”, ma facciamo parte di un movimento fatto di sanitari, lavoratori e pazienti che si stanno organizzando per contrastare una deriva generale sul diritto alle cure e all’assistenza sanitaria, che nelle regioni del Sud e in Campania in particolare acquisisce il carattere di una slavina. Non lo diciamo noi che, pur avendo il polso della situazione, potremmo essere accusati di partigianeria. Ma lo dicono gli indici di valutazione dei principali istituti di statistica, compresi quelli ministeriali (Agenas, lea,Istat,Istisan,Tor Vergata-Mev…). In nessuno di questi sistemi di valutazione la Campania ottiene la sufficienza, ma è sempre costantemente agli ultimi o penultimi posti. Per quanto attiene la situazione dei principali ospedali campani, la poco lusinghiera classifica di Agenas nel 2016 dichiara che tra i peggiori ospedali a livello nazionale ci sono molti istituti napoletani, compresi i policlinici. Esistono sicuramente almeno tre realtà. Esiste la situazione dei pochi ospedali dotati di Pronto Soccorso che letteralmente scoppiano di pazienti, dopo che la precedente gestione commissariale (Caldoro) ha chiuso gran parte dei punti di primo soccorso di Napoli e delle province. È questa la situazione di Nola, Cardarelli, Loreto Mare, San Giovanni Bosco etc… dove affluiscono pazienti da tutta la regione. Parliamo di una regione che oltre Napoli è un deserto come offerta sanitaria e che quindi nel capoluogo vede arrivare gente da tutto l’hinterland, ma anche dalle zone interne. Le scene del paziente rianimato a terra hanno fatto indignare l’Italia, ma vi garantisco che fanno parte del quotidiano nei nostri ospedali napoletani.
La seconda realtà è quella degli ospedali di “eccellenza”, che son riusciti sinora a non essere coinvolti nella rete dell’emergenza: il Monaldi, i Policlinici, il Pascale, che sono aree privilegiate ove i pazienti arrivano, per così dire, selezionati, dove l’intramoenia fattura grossi numeri, il collegamento con gli altri presidi di prima linea è filtrato da una barriera spesso invalicabile, pur essendo sede di punte di eccellenza come la cardiochirurgia, la chirurgia toracica, le chirurgie oncologiche. Insomma, sono castelli inespugnabili, a gestione privatistica.
Terza realtà è quella delle provincie e delle zone disagiate. La tendenza è stata quella di chiudere i piccoli ospedali considerati poco sicuri. Gli ospedali delle province di Salerno (Cava, Rocca d’Aspide, Agropoli) di Avellino (Bisaccia, Ariano, Irpino Sant’Angelo…) Napoli (Torre del Greco), delle isole (Procida ) sono ridotti a una sopravvivenza residuale, un’agonia che prelude alla chiusura definitiva in situazioni ambientali difficili. La proposta indecente che viene offerta dalla politica è sempre la stesa: potenziare i collegamenti con ambulanze attrezzate ed elicotteri per il trasporto dei casi gravi.»
Cosa possono fare i medici per sopperire a tali mancanze?
«Esiste un indice di valutazione della nostra realtà sanitaria e si chiama Mortalità Evitabile. Esso è calcolato dall’istituto di statistica ed epidemiologia dell’Università Tor Vergata e indica i giorni di vita perduti per difetto di intervento sanitario adeguato. Vale a dire che per ogni patologia, secondo gli standard di una sanità efficiente, è attesa una percentuale di mortalità. Al di sopra di questa percentuale si calcola la mortalità evitabile, cioè quella che poteva essere evitata se il sistema avesse funzionato. Orbene, la regione Campania, nel 2006, aveva una ”Mev” poco superiore alla media nazionale che poi è continuata a peggiorare sino a precipitare negli ultimi anni.
LA CAMPANIA NEL 2015 ERA PENULTIMA NELLA CLASSIFICA. NEL 2016 HA RAGGIUNTO IL FONDO. Cosa significa questo andamento? Vuol dire che per effetto delle politiche restrittive di governi nazionali e locali la situazione sta precipitando.
La nostra popolazione, già segnata da problemi sociali gravosi come un reddito pro capite tra i più bassi d’Italia, disoccupazione, sottoccupazione, esposizione ai veleni di sversamenti inquinanti di ecomafie locali e nazionali, questa nostra gente deve sopportare un servizio sanitario tra i più costosi e inefficienti del Paese, deve sottostare ai ricatti dei soliti illuminati dalle mani d’oro e dalle maniglie fatate, che aprono e chiudono la via della guarigione da malattie gravi come il tumore, previo pagamento di un pedaggio. L’alternativa è spesso vana nella palude dell’iter normale delle liste d’attesa. Chiaramente esistono eccezioni, ma la situazione è questa, determinata dalla crescita esponenziale di alcune patologie e da un’offerta molto limitata. E questa è la principale causa del fenomeno della migrazione sanitaria.»
L’appello da lanciare alle istituzioni?
«L’appello, vista la gravità della situazione, va rivolto alla classe politica che governa la Regione e il Paese: la Campania non può sopportare ulteriormente le politiche restrittive; il pressapochismo gestionale e la commistione di interessi di pochi ai danni dei più, elementi tutti che hanno determinato la decadenza dei livelli di salute delle nostre popolazioni.
La politica deve avere il coraggio di scelte nette: una rete d’emergenza completa, che comprenda l’Università e il Monaldi e che mantenga i presidi delle aree disagiate (isole e provincia). Una rete di punti nascita adeguata alla popolazione, che non lasci tutto il campo libero alle cliniche, nelle quali il parto naturale è diventato l’eccezione rispetto ai tagli cesarei. Ma mi sento in dovere di fare un appello anche al mondo accademico: che si apra alla realtà, che prenda posizione rispetto ai dati che ho citato. Che la smetta di allevare pochi “illuminati” che tenderanno a rimanere sempre pochi, perché così guadagneranno molto, ma che si faccia carico di allargare la conoscenza per servire meglio la popolazione. Ogni viaggio della speranza dovrebbe pesare sulle loro coscienze come una vergogna. Ai sindacati vorrei chiedere di smetterla di chiudere gli occhi: i diritti dei lavoratori della sanità stanno scomparendo in parallelo a quello dei pazienti. Non si illudano che inseguendo i piccoli corporativismi o il meno peggio si possano salvare. Nella sanità campana c’è bisogno di assumere giovani, perché il precariato o il cumulo di mansioni non giova a un lavoro che deve essere sempre di qualità. Alle associazioni e alla società civile direi di smetterla con le vaghe lamentazioni e con i convegni: la partecipazione deve essere attiva e se necessario anche con la protesta, che serve alla Salute come una medicina.»
Una precisazione: dal 2013 l’indicatore relativo ai giorni perduti per mortalità evitabile è elaborato da Nebo Ricerche PA (cfr sito internet http://www.mortalitaevitabile.it) nell’ambito del Progetto MEV(i) che è autofinanziato dalla medesima società, del tutto indipendente dagli Enti pubblici menzionati nell’articolo.
La scorsa settimana è stata pubblicata on-line da Nebo Ricerche PA l’edizione 2017 del Rapporto MEV(i).
http://mortalitaevitabile.it/_mevi/2017/MEVi2017-rapporto.pdf