Unioni civili. A Orta di Atella la cerimonia di Pasquale e Antonio
ORTA DI ATELLA – Giovedì 8 giugno a Orta di Atella, in provincia di Caserta, gli stilisti Pasquale Narrata e Antonio Guarrera hanno coronato il loro sogno unendosi civilmente. La cerimonia pubblica si è svolta nella sala consiliare del Comune, dove attraverso la lettura dell’Art. 1, comma 1-35 della Legge 20 maggio 2016 n. 76, più conosciuta come Legge Cirinnà, è stato ufficializzato l’atto che disciplina le convivenze tra persone dello stesso sesso.
L’evento, concepito con largo anticipo, ha visto la partecipazione di moltissimi invitati e abitanti della cittadina, ma è stato solo un’anteprima della festa che si terrà in grande stile il prossimo 7 agosto. La coppia, al termine della cerimonia, ha fatto un breve discorso riguardo la lunga battaglia umana e sociale sostenuta in questi anni, una risposta d’amore all’odio, contro la discriminazione: “Abbracciate i vostri figli, e dite loro: chiunque tu sarai, qualunque cosa tu mi dirai, io sono qui, sono tuo padre, sono tua madre, e niente e mai nessuno mi potrà togliere il tuo amore”.
Al riguardo abbiamo rivolto le nostre domande ai coniugi Pasquale Guarrera-Narrata e Antonio Guarrera.
Perché unirsi ufficialmente?
«Il nostro amore nasce circa 24 anni fa e ha attraversato momenti difficili, così come altri felici in cui ci siamo amati al punto di condividere qualsiasi cosa insieme. Nel nostro percorso di vita abbiamo sempre cercato di rispettare una società che, in tutte le sue lacune, non era pronta, ma anzi collassava la sua ignoranza sulla speranza delle generazioni future: per nostra scelta abbiamo sempre deciso di non metterci in mostra attraverso semplici gesti d’amore, che vanno dal tenersi per mano al baciarsi in pubblico, per non alterare la sensibilità dei bambini, ma uno dei tanti motivi per cui abbiamo deciso di unirci ufficialmente è stato proprio questo: permettere agli stessi di indirizzare la loro conoscenza in maniera autonoma, apprezzando e scoprendo se in noi potessero rispecchiarsi, insegnando la medesima lezione anche agli adulti. Inoltre, partendo dal presupposto fondamentale della nostra riservatezza, le motivazioni che ci hanno spinto a confrontarci con la decisione di portare avanti il nostro progetto sono state fondamentalmente due: innanzitutto per i nostri diritti, perché nel 2017 risulta impensabile non poter coniugare il nostro amore quotidiano con una regolamentazione scritta che permetta di considerarci una vera e propria coppia di fatto; poi per elevare il significato dell’amore a qualcosa di più universale e multicolore, per far capire a tutte le persone che hanno sofferto e lottato come noi che non vi è mai sconfitta dove l’amore supera ogni muro sociale e psicologico. Tra lo scappare dall’Italia e restare qui a rappresentare la ‘bandiera’ di tutti coloro che sognano di arrivare a essere accettati per quello che sono realmente, siamo stati felici di scegliere sempre e comunque la seconda opzione: nonostante i numerosi intralci posti in essere dai governi che si sono succeduti, abbiamo lottato e imperterriti lotteremo nel nostro piccolo successo, dimostrando allo Stato che finalmente abbiamo vinto la guerra e non una semplice battaglia, non con la celebrazione di un semplice matrimonio, sebbene con la maturazione di una società che per troppo tempo ci ha catalogati malati, immondi e degenerati. Il riscontro che oggi abbiamo avuto è assoluto: fiori, lettere di auguri e regali sono soltanto la prima piccola accettazione di consapevolezza che il mondo sta acquisendo attraverso l’amore, che quasi come un abbraccio ha regalato affetto anche a chi, di contro, ci regalava solo cattiverie gratuite».
Come è stata accolta dal Comune la vostra Unione?
«Questa è la prima volta che il Comune pone in essere l’unione civile. Sicuramente, con notevole piacere, abbiamo riscontrato entusiasmo e commozione da parte dei funzionari che hanno dato il loro lasciapassare senza opporsi minimamente, ma anzi quasi si meravigliavano che ancora non fossimo “convogliati a nozze”: tutto il bene e l’affetto che abbiamo sempre regalato nel massimo della serietà e trasparenza, ha portato negli anni i suoi frutti, e i fantasmi di una mancata apertura mentale, che temevamo di non trovare, sono stati immediatamente spazzati via dalla collaborazione, dalla bontà e dalla genuinità degli addetti ai lavori. Sicuramente anche il nostro successo aziendale, che ha elevato il nostro titolo di stilisti, ha avuto un ruolo chiave al fine di farci apprezzare dalla collettività cittadina, ma questo non copre quello che siamo davvero: persone umili, partite da zero per costruirsi la felicità e che sono riusciti a trovarla e costruirla sulla base della nostra realizzazione umana, economica e sentimentale».
Che rapporto avete con la Chiesa?
«La chiesa per noi ha irrimediabilmente rappresentato una maschera ipocrita che profetizza amore, speranza, esorta all’unione e al gemellaggio tra popoli, ma che dietro, purtroppo, cela l’orrore della discriminazione: la favoletta di questo ‘partito’ umano già rappresenta di per sé un paradosso, e pertanto la nostra chiesa la sera diventa il nostro letto, dove confidarsi con Dio non è peccato solo perché si è gay. Pensiamo che sia giusto uscire da questa ‘ombra’ che la chiesa con i suoi dogmi ha costruito intorno a noi, considerarci insomma persone fatte di sentimenti, emozioni: l’obiettivo è far capire anche al mondo cattolico che pure i gay sono capaci davvero di amare e, allo stesso tempo, far prevalere il sentimento dell’amore vero, puro e genuino, non più nascosto dietro il dito ipocrita di un un libro sacro, non più martoriato dall’ignoranza del ‘diverso’, non più discriminato dagli stessi potenziali uomini di chiesa, che in passato celavano dietro un abito clericale la loro omosessualità. Vogliamo dire alla chiesa quello che il Cristo disse agli uomini: “Scagli la prima pietra chi non ha peccato”, e quindi tu, chiesa, ne scaglieresti davvero una contro di noi? sei davvero sicura di non avere il tuo peccato anche al tuo interno?».
La vostra Unione è una svolta anche per le comunità locali?
«La nostra speranza è diretta a tutte quelle coppie che come noi cercano la loro realizzazione sentimentale: oggi noi siamo protagonisti, un domani ci auspichiamo di essere spettatori in prima fila di questa festa d’amore. Anche se la parola ufficiale risulta essere “Unione civile”, noi oggi ci consideriamo a tutti gli effetti sposati, così come lo abbiamo già largamente compreso 24 anni fa al nostro primo bacio: nel nostro matrimonio Pasquale sarà la moglie di Antonio, e Antonio sarà il marito di Pasquale. Infine, desideriamo con tutto il cuore che la comunità umana in generale si avvicini di più al messaggio vero e concreto che vogliamo far passare: vivere la diversità dell’essere umano in tutte le sue forme, in tutte le sue sfaccettature, e non solo relegarlo alla tematica omosessuale, avvicinandosi a tali realtà non per incattivirle ancora di più, ma per trasferire amore anche nei cuori di chi ne più ha bisogno, anche nell’animo di chi giudica. Per mostrare ciò, abbiamo scelto di consacrare come prima damigella d’onore una ragazza affetta da nanismo, proprio perché, come diceva Madre Teresa, “l’amore genera amore”, e questo affetto trapassa ineluttabilmente la sensibilità di tutti, dalla persona ignorante a quella più colta, perché in questa realtà paradisiaca chiamata amore siamo tutti uguali, siamo tutti “equo-sessuali”».
By Michele Calamaio