Solidarietà. Al Casale di Teverolaccio celebrata la “Giornata dell’Insieme”
SUCCIVO – Dal 14 al 18 giugno si è svolta in provincia di Caserta, presso il magnifico scenario del Casale di Teverolaccio, palazzo medievale del Comune di Succivo, la XV edizione della “Giornata dell’Insieme”, iniziativa promossa dall’associazione di volontariato ”Casa della Vita” onlus, nata per volontà di Gennaro Capasso, attuale presidente, a sostegno di politiche per la dignità e le potenzialità delle persone disabili.
Il programma, che ha festeggia anche i 25 anni di attività sul territorio campano, ha previsto numerosi eventi artistici, laboratori ludici, mostre, proiezioni, spettacoli teatrali e musicali, oltre a stand con prodotti artigianali ed enogastronomici locali. Durante il primo giorno la manifestazione ha accolto la presenza del vescovo di Aversa, S.E. Mons. Angelo Spinillo, e del parroco di Succivo, Don Crescenzo Abbate, i quali attraverso la celebrazione di una messa hanno affrontato insieme le tematiche inerenti la condizione di disabilità; successivamente i ragazzi dell’associazione hanno messo in scena un’esibizione di balli latino-americani curata da Maria Liguori. Nel secondo giorno si è svolto il convegno “25 anni insieme, uguali nella diversità, tutti nello stesso sentiero ma ognuno con il proprio passo”, al quale hanno partecipato Gennaro Oliviero, consigliere della Regione campania; il Dott. Gianni Colella, Sindaco di Succivo; e la Dott.ssa Emilia Narciso, presidente provinciale di Caserta Unicef. Al termine della giornata la consegna del Premio Enea e il concerto live del gruppo Tiempo Antico, di Giovanni Sorvillo. La terza giornata ha avviato i lavori con la mostra fotografica “25 anni di attività”, curata da Gianfranco Di Costanzo, seguita dallo spettacolo teatrale “I pirati di Varcaturo”, realizzato dai ragazzi dell’associazione; al termine le esibizioni “The every dance” del Centro studi danza e “La danza dell’orologiaio”, eseguite dai ragazzi della Casa della Vita. Nell’ultima giornata infine, è andato in scena lo spettacolo teatrale “Una truffa in famiglia”, della compagnia amatoriale Il Sorriso Normanno, con la partecipazione straordinaria del maestro Paolo Fagnoni. L’edizione si è conclusa con la consegna del Premio Insieme.
Al riguardo abbiamo intervistato il presidente dell’associazione, Gennaro Capasso.
Quando è nato questo evento?
«La manifestazione è partita da un mio volere: per lungo tempo ho reso operativo un laboratorio di teatro creativo con i ragazzi per gestire le emozioni e tirare fuori tutte le loro paure; solo successivamente ci venne l’idea quasi di tirare fuori anche il prodotto finale: visto che “non possiamo preparare un dolce senza assaggiarlo”, ci inventammo non la solita “festa del disabile” o “festa dell’ammalato”, ma piuttosto un evento capace di farci conoscere a livello locale, di farci sentire realizzati a livello di dignità della persona, uccidendo ogni forma di pietismo e assistenzialismo; i ragazzi sono persone normali, liberi di potersi esprimere come vogliono, quando vogliono, perché vogliono: se già partissi con il solito bigliettino da visita dell’handicappato, non credi che si creerebbe quella sorta di folklore propagandistico a fini di lucro? Non è questo quello a cui ambiamo, ma anzi inseguiamo solo la postilla finale che chiuda un cerchio fondato sulla ricerca della felicità, e sull’apprezzamento della diversità nel suo approccio “normale”: i miei ragazzi non sono handicappati, sono semplicemente i miei brillanti e speciali ragazzi».
In dettaglio, qual è lo scopo della manifestazione?
«La manifestazione ha l’obiettivo di potare fuori tutto l’output organizzativo, lavorativo e ricreativo fatto e gestito durante l’anno. Nel tempo l’organizzazione si è arricchita: da settembre a giugno il percorso regala ai ragazzi attività ludiche, espressive e relazionali capaci di portarli a confrontarsi gli uni con gli altri, a crescere emotivamente, a imparare e a insegnare tutto ciò che viene appreso; attraverso questa messa insieme di eventi, i ragazzi entrano in empatia diretta con gli altri, non facendosi limitare dai freni inibitori che le persone comuni sviluppano con la crescita, ma innamorandosi della vita, ogni giorno, con chiunque. Senza dubbio poi questo è diventato anche un modo autonomo per farci conoscere sul territorio, per via della mancanza di fondi da parte delle istituzioni: la manifestazione è rivolta a tutti i tipi di classi sociali, altre medesime associazioni che cercano la nostra collaborazione, alle istituzioni e alle famiglie che presentano al loro interno persone afflitte da problemi di disabilità; tra queste ultime, quasi sempre ci sono ragazzi pronti a unirsi alla causa, ma per una questione di sicurezza siamo costretti a fare entrare nel gruppo solo ragazzi maggiorenni con la particolare condizione del controllo sfinterico: questo perché, nonostante siamo volontari carismatici e volenterosi, non possiamo permetterci il lusso di avere a disposizione il personale adatto che permetta l’assistenza materiale e necessaria per prendersene cura sotto quell’aspetto».
Come si finanzia l’associazione?
«L’unico metodo di sostentamento che abbiamo, a volte affiancato da altre attività come donazioni di vario genere e lotteria, è il 5×1000, attraverso il quale riusciamo a portare avanti un’anno di lavori. Il problema nasce nel momento in cui l’associazione chiude per i mesi estivi di luglio, agosto e metà settembre: per far fronte a ciò, quindi, una nostra socia, avvocato di Aversa, ha messo su degli spettacoli teatrali con i suoi colleghi, affidando tutti i proventi ricavati dagli show ai ragazzi, affinché fossero in grado di organizzare e istituire una colonia estiva. Questa azione, più nello specifico, ha dato vita a una consecutio fondamentale: lo sviluppo di un’autonomia a livello economico, che permette loro di amministrare e gestire nel miglior modo possibile le finanze, e aggiornarsi continuamente con spettacoli, eventi e attività per rimpinguare periodicamente le casse».
Perché avete scelto il Casale di Teverolaccio per questa manifestazione?
«Per una questione storica: 25 anni fa un gruppo di volontari chiese all’ex parroco Don Ciccio della chiesa di San Sossio a Teverolaccio di poter utilizzare degli spazi per potersi esibire; ma questi iniziarono a restringersi all’aumentare del gruppo, il Sindaco così mise a disposizione questo magnifico stabile medievale che all’inizio era rappresentato solo da una misera stalla: ci vollero anni e anni di lavori per ristrutturare il tutto, momenti di sacrifici conditi con attimi di felicità immensa per aver raggiunto il traguardo più bello che oggi questo scenario può offrirci in tutta la sua immensità. Pertanto, ci consideriamo, quasi senza volerlo, i pionieri di questa struttura: abbiamo usato questo spazio con il fine nobile di divulgazione della cultura, un nuovo polo educativo dove tutti possono venire ed esibirsi o gestire progetti accademici volti al benessere del territorio locale».
In riferimento invece ai laboratori annuali svolti dall’associazione, e più in particolare del corso di fotografia e all’organizzazione teatrale come valvola di sfogo emotivo-empatico, abbiamo raccolto la testimonianza di Gianfranco Di Costanzo e Paolo Fabozzo.
Sig. Di Costanzo, quali e quanti laboratori ludici l’associazione mette a disposizione per i ragazzi con disabilità?
«Per i bambini vengono sviluppati numerosi spettacoli teatrali a scopo di sensibilizzazione e conoscenza della diversità: se li educhiamo da piccoli avremo speranza già da subito di avere in futuro degli adulti migliori. I ragazzi invece svolgono vari laboratori ludici e ricreativi: si parte da quello di musica-terapia, seguendo il metodo Orff-Schullwerk, secondo la cui concezione musicale si fonda su una base di partenza che considera qualsiasi mezzo, cosa o strumento suonabile; passando per quelli di danza e ballo creativi, come insegnamento all’educazione del corpo, alla respirazione e alla postura; e terminando con quello di pittura, teatro e cucina, rendendo possibile una libertà di espressione, colorata e viva, che porta i ragazzi a sentirsi più accettati, più partecipanti di questo mondo, più speciali di quanto possano credere, coltivando la speranza essere annessi, in futuro, al mondo del lavoro senza subire discriminazioni. Per quanto riguarda il corso di fotografia “Comunicare con le immagini” iniziato quest’anno, di cui sono curatore, devo ammettere che inizialmente i ragazzi hanno avuto difficoltà a capire il senso vero di ciò che stavo loro insegnando; tuttavia, con il passare del tempo, hanno capito che la fotocamera non era solo uno strumento per immortalare un momento, sebbene per comunicare qualcosa: spesso infatti un’immagine, una foto, un oggetto ripreso può esprimere uno stato d’animo più di mille parole. Ognuno di loro, con la propria diversità, ha ritratto soggetti o cose diverse in base alla realtà e alle sfumature concepite: la diversità è normale, ma non deve essere fonte di spavento, bensì di ricchezza, risorsa creativa che insegna a commuoversi anche di fronte le cose più semplici».
Sig. Fabozzo, in cosa consiste invece la sua collaborazione con l’associazione?
«Il mio percorso con Casa della Vita nasce con un’integrazione fatta con uno dei lavori di Gennaro svolti dai ragazzi a scuola: dal momento che mi sono interfacciato con la loro realtà, ho capito che si potevano imparare molte cose dal modo stesso in cui loro si ambientavano nel mondo del teatro. Anche da un’interpretazione più blanda, anche da chi meno te l’aspetti, c’è sempre quel qualcosa in più da apprendere per migliorarti nel tuo mestiere. Il problema iniziale che mi poneva in imbarazzo con loro, tuttavia, era il canale comunicativo: dopo essere riuscito a trovarlo, si è venuta a formare quella empatia emozionale capace di farli improvvisare anche al momento stesso durante gli spettacoli e che ricorda a te stesso quanto sia importante trovare quel feeling tanto prorompente da permettere in maniera continua il gioco assiduo tra le parti».
By Michele Calamaio