Arte. A Napoli l’esperienza di Sarajevo Supermarket
NAPOLI – Venerdì 21 luglio intorno alle ore 19:00, l’Ex Asilo Filangieri, nel cuore del centro storico di Napoli, ha ospitato una discussione pubblica sugli spazi culturali indipendenti, a partire dall’esperienza di Sarajevo Supermarket, operazione artistica che rischia di perdere la sua sede alla Sanità.
Trovare un significato univoco alla parola Arte, condiviso da tanti, è complicato. Forse l’Arte è individuale, soggettiva e il suo stesso senso diventa interpretabile, intangibile, svuotato e riempito ogni volta di un senso differente. Alla discussione pubblica di venerdì sera all’Ex Asilo Filangieri, artisti, studiosi, critici o appassionati d’arte, simpatizzanti e amici di Sarajevo Supermarket, hanno detto la loro sul senso e sulla gestione degli spazi culturali indipendenti. Snodo della riflessione è stata proprio l’esperienza di Sarajevo Supermarket, uno spazio culturale indipendente che nasce nel 1995 come pseudonimo di Giovanni Franco, “artista indipendente per scelta”, come definisce se stesso; per poi, circondatosi di altri artisti indipendenti, diventare un logo, un marchio.
Oggi Sarajevo Supermarket, operazione artistica mutante, rischia di lasciare dopo soli 6 mesi lo spazio ritagliatosi alla Sanità dallo scorso dicembre, in via Matteo Ripa. Dunque è sorta la necessità di una discussione pubblica, in cui ognuno possa apportare le proprie riflessioni intorno a quella cultura che vuole fare e farsi da sé, per poter essere di tutti. Per lo stesso motivo anche il lancio di una campagna di crowdfunding, attraverso cui contribuire economicamente fino al 19 settembre, sulla piattaforma di “produzioni dal basso”.
Prima della discussione pubblica di venerdì, nel cortile dell’Ex Asilo Filangieri abbiamo rivolto le nostre domande a Giovanni Franco e Sabrina Cardone di Sarajevo Supermarket.
Giovanni Franco come nasce Sarajevo Supermarket?
«Innanzitutto come artista ho sempre lavorato con degli pseudonimi e Sarajevo Supermarket è nato per essere uno dei miei tanti pseudonimi. Questo contro l’autorialità, ottocentesca, che poi nel ‘900 è continuata, soprattutto per motivi di marchio. Nel ‘900 l’autore non c’è più, è quasi sempre un lavoro collettivo, anche quando è un solo artista a lavorare all’opera. L’idea del Cubismo di Braque o di Picasso in quegli anni era un’idea globale, quella della quarta dimensione. In America Einstain studiava la quarta dimensione e la possibilità di altre dimensioni. Cioè si era già, anche se non in maniera consapevole, in un contesto di opera collettiva. Lo stesso vale per il Surrealismo e la Psicoanalisi, per esempio. Sarajevo Supermarket nasce quindi all’inizio come mio pseudonimo, poi coinvolsi un po’ di persone e divenne un logo per promuovere artisti indipendenti. Salvo poi capire subito che artisti indipendenti spesso sono artisti falliti, che non sono indipendenti per scelta, ma sono indipendenti perché non gli sono state aperte le porte per l’establishment. Io mi vanto, molto modestamente, di essere indipendente per scelta, anche perché negli anni della mia formazione, gli anni ’70, erano anni di rivolta contro il sistema.»
Cosa significa indipendente?
«Indipendente significa fuori dal circuito delle gallerie d’arte, dei musei, delle forme dell’industria culturale, dell’industria artistica. Nel 1996 mi sono occupato di arteterapia con i sofferenti psichici, ma anche con minori a rischio, insomma una serie di realtà ai margini, ai limiti della società. L’esperienza di arteterapia è durata circa 15 anni. Ho sempre chiamato i miei laboratori “Sarajevo Supermarket Art Therapy”, scritto sottosopra, al contrario, che è un modo anche per prendere le distanze da questa disciplina. Perché terapia promette benessere, promette cura, promette stare bene, che però non si sa se puoi mantenere.»
Cosa significa Arte?
«È una parola ambigua. Lo stesso vale per la parola terapia. Soprattutto nella riabilitazione psichiatrica non c’è cura, o meglio c’è una cura, ma non c’è guarigione. In questo laboratorio di arteterapia, anche grazie alla collaborazione con degli arte-terapeuti austriaci, il metodo Sarajevo Supermarket è stato presentato al Franco Basaglia Haus di Linz e sul metodo Sarajevo Supermarket sono state fatte 3 tesi di laurea in 3 discipline diverse. A breve, se riusciamo a rimanere in questo spazio alla Sanità, riprenderemo anche le sedute di arteterapia.»
Sabrina Cardone, perché Sarajevo Supermarket è un cantiere, “un’operazione artistica mutante”?
«Questa idea del cantiere permanente, che attraversa un po’ tutta Sarajevo Supermarket e tutta la sua storia, è diventata proprio una cifra specifica, soprattutto di questa nuova esperienza alla Sanità, più consapevole. Quello è stato il momento in cui l’abbiamo messa in consapevolezza, l’abbiamo fatta nostra idea portante. Oltre all’idea di qualcosa che è in continuo divenire, c’è anche l’idea di qualcosa che è in continuo divenire grazie all’apporto di quanti vi prendono parte. Quindi, ancora una volta non c’è più l’autorialità, l’individualità, ma qualsiasi persona, qualsiasi artista o intellettuale che apporta qualcosa di nuovo modifica, volontariamente o involontariamente, un progetto che è in continuo divenire. Quindi abbiamo definito Sarajevo Supermarket un’operazione artistica mutante.»
Qual è il rischio legato alla sede alla Sanità?
«Il rischio deriva da una serie di problemi strutturali che dobbiamo risolvere per poter restare lì. Noi siamo in una abitazione privata, paghiamo l’affitto, abbiamo delle spese da affrontare e già questo ci pone di fronte a una difficoltà, visto che la nostra è una operazione senza scopo di lucro. E poi appunto è una struttura che necessita di una riqualificazione. Ed è anche un discorso di adeguamento di strumenti: l’arte oggi è soprattutto multimedialità, quindi abbiamo bisogno di un computer, di un video proiettore e altro»
Come vi state muovendo?
«Abbiamo lanciato questa campagna di crowdfunding, di produzioni dal basso, che si chiama “Impara l’arte e… usala!”. Tra l’altro questo è proprio uno slogan originario del 1995, come del 1995 è l’altra idea di arte discount, cioè di arte contemporanea a prezzo basso. Il tentativo è di, non dico eliminare, quanto meno ridurre il gap che c’è tra l’opera e la gente comune, che significa rendere l’opera più vicina e più praticabile. I nostri tentativi sono tutti nella direzione di ridurre questo gap, economico innanzitutto, ma anche conoscitivo: c’è un tentativo di avvicinare e rendere protagoniste persone anche non specialiste e avvicinarle all’arte contemporanea».
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