Musica. Luca Sorrento, nun ce penzà
NAPOLI – In occasione del lancio del suo primo album, intitolato “Nun ce penzà”, in uscita entro il prossimo settembre, il cantautore Luca Sorrento, nome d’arte di Luca Esposito, già attore e cantante in spettacoli teatrali, si è raccontato ai nostri microfoni.
Perché ha scelto “Sorrento” come cognome d’arte?
«Con la mia precedente etichetta discografica cercavamo un nome d’arte per presentarmi al pubblico, Esposito è troppo comune. Io volevo chiamarmi Luca Sergio, dal cognome di mio nonno materno a cui ero molto legato, ma non c’era musicalità. Allora mi ricordai che lui amava particolarmente “Torna a Surriento”, la cantava sempre, infatti tutti lo chiamavano Tonino Sorrentino, così proposi Sorrento. Il nome funzionava, e da quel momento l’ho mantenuto con molto piacere, perché è una sorta di tributo all’amore per la musica trasmessomi dalla mia famiglia. Pensa che nella scena finale del video di “E si tu”, girato da Marco Latour, compaiono i nomi dei miei nonni, a cui ho dedicato il brano, perché rivedo molto di loro in me e ho cercato di ricordarli a modo mio.»
Quando è iniziata la sua carriera?
«Ho sempre cantato, e a 19 anni mi iscrissi in una scuola di canto. Cambiando vari insegnanti sono diventato allievo del mio attuale mentore, Francesco Ruocco. Ho fatto tanta gavetta, molti provini e infine sono approdato da Leonardo Ippolito, curatore dello spettacolo “Bentornata Piedigrotta”, con cui saremo in scena a settembre al Teatro Augusteo con artisti del calibro di Natalia Cretella, Lello Pirone, Marilù Russo, Salvatore Imparato, Enzo Esposito e tanti altri ancora.»
Ha sempre scritto testi in napoletano?
«No, è stata una scoperta recente. Lo scorso anno, durante le prove della III Edizione di Bentornata Piedigrotta, Marilù Russo, mia partner artistica nella compagnia, mi propose di partecipare al Festival di Napoli New Generation. Io inizialmente non volevo, perché non avevo alcun pezzo in napoletano, lei però riuscì a convincermi, ma avevo bisogno di un pezzo. Nacque così l’inizio della collaborazione con Emilio D’Alise, con cui composi “E sì tu”. Mogol, presidente di giuria, elencò i sette brani che preferì, e c’era anche il mio. Fu ovviamente una grande soddisfazione per me, soprattutto perché quello era il mio primo brano in napoletano.»
Poi è nato “Nun ce penzà”?
«Il disco, scritto e prodotto in collaborazione con Emilio D’Alise, è interamente frutto del nostro lavoro. Anche nella copertina ho messo qualcosa di mio perché, essendo diplomato in grafica, ho lavorato alla foto che mi scattò Fabrizio Casino e la trovai perfetta come copertina dell’album.
Ci sono 10 brani, 8 in napoletano e 2 in italiano. Anche se ogni brano è diverso dall’altro, ci sono due filoni principali: l’amore e cose di tutti i giorni. La canzone “2 aprile”, ad esempio, racconta di una data importante: è scritta per una persona, per ricordare il primo incontro con lei e l’inizio di una storia che va avanti da più di dieci anni. Per l’altro filone invece, c’è “A nisciun”, che parla di violenza. Questo brano è nato perché purtroppo, mentre ero in Vesuviana, ho ascoltato la conversazione di una ragazza che parlava della violenza che subiva, ogni giorno, e anche se può sembrare un tema scontato, io dico che non se ne parla abbastanza, perché è assurdo che nel 2018 ci siano ancora femminicidi, omofobia, gente che uccide chiunque abbia idee diverse dalle proprie.»
Luca Sorrento, al termine dell’intervista, ha dedicato un pensiero speciale ai collaboratori, ai genitori e alla sua compagna di vita.
- Società. La natura umana nel progetto Orao - 29 Aprile 2019
- Napoli. Poesia e confronto all’Archeobar - 17 Aprile 2019
- Attivismo. A Bologna il Cubo Nazionale di “Anonymous for the Voiceless” - 16 Aprile 2019