Napoli. La cultura del silenzio
NAPOLI – Per il Napoli Teatro Festival, il centro storico della città tra Piazza Dante e l’Accademia di Belle Arti, dal 8 al 10 giugno, ha fatto da palcoscenico a talk show, concerti, proiezioni e artisti di strada del Napoli Strit Festival, avente come tema la celebrazione del silenzio.
Passeggiando per Via Port’Alba, in questi giorni, si ascoltavano i suoni della foresta, trasmessi dagli altoparlanti posti sotto i balconi, oppure dalle bandiere che, appese da un lato all’altro della strada, raccontavano le parole di autori del passato. L’installazione, a cura degli studenti dell’Accademia di Belle Arti, con body painting, concerti musicali, pratiche yoga e proiezioni di film e docufilm, sono solo alcune delle tante attività che per tre giorni hanno invaso parte del centro storico della città.
Ettore De Lorenzo, ideatore e curatore del festival, ha raccontato ai nostri microfoni la storia e i motivi che hanno portato quest’edizione a raccontare del silenzio.
Come nasce Napoli Strit Festival?
«Nasce quasi vent’anni fa, in un momento molto bello della vita di questa città: il cosiddetto Rinascimento napoletano. C’era però una parte della città che ancora non riusciva a entrare in contatto con l’arte e la cultura. Avendo fatto io stesso l’artista di strada, avendo suonato in giro per le strade d’Europa, pensavo potesse essere utile andare in quei luoghi dove generalmente la cultura e l’arte non arrivano, e portarvi un po’ di bellezza. Questa cosa è durata nove anni, dal ’99 al 2007, poi vi è stata un’interruzione, ma quest’anno si è riproposta la possibilità di riprendere la nostra attività, all’interno del Napoli Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio.»
Il tema di quest’anno. Perché il silenzio?
«L’idea non poteva più essere quella di portare il grande frastuono, le bande, i colori: per ragioni puramente economiche, perché abbiamo avuto un budget molto più esiguo rispetto agli anni passati, ma anche perché di caos ce n’è già abbastanza. L’idea, per me, era quella di fare in modo che si facesse un passo indietro: io lavoro con i ragazzi, nelle scuole, e mi accorgo continuamente di quanto i ragazzi abbiano perso il senso del peso delle parole, quindi dedicarlo al silenzio ne è stata una conseguenza.
Tutti gli spettacoli sono senza parole, anche la musica sul palco di Piazza Dante è ispirata alle parole; a Port’Alba c’è l’istallazione “Pagine al vento”, a opera dei ragazzi dell’Accademia di Belle Arti, accompagnata da suoni del bosco che richiamano alla natura e al suo silenzio.
Il silenzio perché quando ci alziamo, dopo un quarto d’ora, siamo già saturi di informazioni e questa saturazione non è piacevole; abbiamo la sensazione di essere sempre connessi, ma in realtà ci aliena, ci isola. Secondo me non siamo mai stati così soli, come esseri umani. Il silenzio quindi serve a rigenerare il senso delle parole, ma anche per ascoltarsi e ascoltare gli altri, rimettere in gioco la relazione umana, che oggi è quella che, secondo me, sta soffrendo di più.»
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