Londra? “E’ la città della disperazione”. Algieri spiega perchè
NAPOLI – Il 28 Marzo, allo Slash art/msic si è tenuta la presentazione del documentario “Cosa Manca” di Giovanni B. Algieri, denuncia filmata dell’impossibilità di vie di sbocco lavorative dei giovani artisti in Italia.
Il 25enne Algieri in Italia non si trova bene. Come molti altri della sua generazione vive le contraddizioni e le difficoltà di questo tremendo periodo storico, denunciandole con ironia nei romanzi e nelle web serie. In “Cosa Manca” esamina e denuncia tutti gli ostacoli di quei ragazzi che scelgono di allontanarsi, di fare un biglietto di non ritorno dall’Italia verso altrove, per poter raggiungere i loro obbiettivi, per poter realizzare i propri sogni; molti ci arrivano, molti si impegnano al massimo per riuscirci, ma sanno che è possibile solo al di fuori della Patria dell’arte.
Il documentario si divide in tre momenti: ESTRO, PASSIONE ed ENERGIA, dove si susseguono e alternano protagonisti di momenti di vita vissuta, nella rinuncia di qualcosa per acquisirne un’altra. Crudiezine ha intervistato l’autore, approfondendo alcuni di questi aspetti.
Come nasce la sua passione per la scrittura?
«Nasce dalla voglia di vedere un mondo diverso attorno a me, visto che non esiste un modo veloce per vedere cose diverse intorno me, le invento; spesso scrivo di un mondo come lo vorrei vedere senza tralasciare com’è, un misto di realtà e fantasia che però non sono mai fantasie impossibili, parlo di piccole cose, modi di essere tra le persone, semplicità, non è un mondo proprio impossibile. Scrivo racconti lunghi, da me denominati romanzi brevi, e sono tutte cose possibili.»
A che tipo di giornalismo si ispira?
«Non sogno di essere un giornalista in realtà, non nego però di avere un taglio nelle cose un po’ giornalistico. Purtroppo in Italia c’è un giornalismo molto duro, non c’è libertà di movimento, e occupandomi di temi sociali inevitabilmente mi occupo anche di questo. In ogni caso, tra i giornalisti, tra i pochi che mi piacciono e che stimo c’è sicuramente Beppe Severgnini, che è davvero, secondo me, un esempio.»
Londra è la meta della disperazione o la città delle meraviglie?
«Per noi italiani è la città della disperazione, però non solo. Tanti italiani che sono a Londra sono disperati, ma la cosa preoccupante è la gente più grande, prima cominciavano ad andare solo ragazzi per formarsi, ora sta aumentando un po’ l’età delle persone, vedi persone più grandi che partono con la famiglia, vanno nei ristoranti col curriculum, quella potrebbe essere la ‘disperazione’. Però c’è di tutto, calcola che adesso a Londra ci sono 600mila italiani, più che disperazione è un’ancora di salvezza, ma non nel senso che è un paradiso, nel senso che in quel buco di età, che io chiamo buco nero tra i venti e i trent’anni, è un posto dove comunque un ragazzo si sente a suo agio, sicuramente più che in Italia.»
Parte per non tornare, come un ‘terrone’ in fuga, o prima o poi tornerà a casa?
«Io non sono partito per non tornare, non sono un ‘terrone’ in fuga, sono piuttosto un osservatore, mi piace definirmi una trottola allegra più che un cervello in fuga, anche perché a me piace andare e venire: ho questo problema, non riesco a stare nello stesso posto per più di un tot di tempo, sono un curioso, magari un giorno mi fermerò fisicamente, ma lavorativamente mai!»
Secondo lei artisti si nasce? E nel caso, come si può essere artisti senza una base economica?
«Secondo me sono due cose diverse, artisti si nasce, poi avere passioni creative è un’altra cosa, secondo me gli italiani sono tutti artisti, ogni giorno quando noi italiani, quando cuciniamo, quando facciamo un piatto e lo inventiamo al volo, quando inventiamo un modo di dire, siamo tutti artisti di base, anche quando canticchiamo sotto la doccia: a Londra non si canta, noi lo facciamo, quindi di base siamo tutti artisti. Ma per i grandi obbiettivi io penso che si nasca artisti e che effettivamente chi ha una famiglia benestante, o che ti appoggi a prescindere dallo stato economico, la cosa è più facile, ma non perché ci siano raccomandazioni o conoscenze, non è per questo, penso che sia più facile perché tu hai tutto il tempo di fare arte, è quella la questione. Vi racconto una storia: quando avevo diciotto anni andai da un cantautore per chiedergli un consiglio, e lui mi disse: se puoi permettertelo non fare il cameriere, ma non perché io ce l’abbia con i camerieri, se puoi inseguire il tuo sogno full time, fallo, perché fare tutte e due le cose è quasi impossibile.».
By Francesca Roberto