Ambiente. Inquinamento marino da microplastiche. L’impegno dei giovani napoletani è fondamentale

NAPOLI – Inquinamento marino da microplastiche nel golfo di Napoli. Serena Sapio, laureanda in Scienze e Tecnologie per la Natura e per l’Ambiente presso l’Università Federico II, ci aiuta a comprendere quali sono i potenziali rischi per la popolazione. Il suo percorso accademico infatti, e i diversi laboratori da lei svolti, le permettono di essere al corrente sui problemi ambientali noti a tutti, ma i cui rischiosi dettagli non sono ancora pubblici. Tra questi, ricade appunto l’inquinamento microplastico delle acque partenopee. La nostra intervista mette in evidenza anche l’impegno ambientale di una giovane che, come tanti a Napoli, spera davvero di migliorare il mondo.

Inquinamento marino. La prima cosa a cui pensiamo è una busta di plastica o una macchia d’olio in superficie. È solo questo?

«Questi sono i cosiddetti “inquinanti principali”. Ma negli ultimi anni ci si sta soffermando su cause meno visibili, ma ugualmente pericolose: le cosiddette microplastiche.»

Cosa sono?

«Per microplastiche intendiamo frammenti plastici uguali o inferiori ai cinque millimetri di grandezza. Possono essere reali prodotti di fabbrica, in questo caso si parla di microplastiche primarie, oppure frutto della degradazione di plastiche più grandi, quindi secondarie.»

Perché non se ne parla?

«È un oggetto di studio molto recente. Sicuramente non è il più facile da riconoscere per chi non è del campo. Quando si pensa a un mare inquinato difficilmente immaginiamo una distesa d’acqua invasa di minuscole sfere plastiche. Visivamente non sono poi così d’impatto.»

Invece qual è l’impatto ambientale?

«Assolutamente grave. Rispetto alle plastiche più grandi, le microplastiche assorbono ulteriori inquinanti per poi essere ingerite dai diversi organismi marini. In questo modo l’inquinamento non è più limitato all’ambiente, ma all’intera catena alimentare.»

Soluzione?

«Non è possibile eliminare le microplastiche già presenti in mare. Sono troppo piccole e talvolta difficili anche da identificare. Ma si può lavorare sulla presenza delle macroplastiche, quindi ridurre le future plastiche più piccole. In tutto il mondo sono in atto diverse iniziative a riguardo.»

E per prevenire?

«Servirebbe una lavata di capo alle grandi industrie. Magari spingerli a utilizzare prodotti naturali laddove impiegano le microplastiche, che sono presenti nella maggior parte dei cosmetici. Oppure lavorare sul confezionamento di alcuni prodotti. Pensa alle merendine per bambini: sono delle vere e proprie matriosche. Spesso sono incartate singolarmente, per poi essere inserite in un piano di cartone a sua volta contenuto in un cartone chiuso, per poi essere globalmente incartato dalla plastica di superficie. Se si eliminasse almeno uno di questi passaggi, a livello industriale sarebbe un gran cambiamento.»

Perché non lo fanno?

«Non saprei. Non sono un imprenditore. Ma credo che tra i vantaggi di iniziative simili ci sia anche il risparmio di costi, che tra l’altro sarebbe percepito su lunghe tempistiche. Forse loro mirano a un guadagno immediato. Per quanto riguarda la bonifica, sono in atto diversi progetti nel nostro mare. Basti pensare agli interventi sulle coste di Bagnoli. Peccato che vadano avanti da vent’anni, ma secondo Legambiente portando scarsi risultati.»

Cioè?

«È la stessa storia degli imprenditori. La bonifica non è considerata economicamente interessante. Ma basterebbe allungare lo sguardo un po’ più in avanti per capire che un mare reso balneabile equivarrebbe a un significativo incremento turistico e quindi un guadagno.»

Nei supermercati è facile imbattersi in prodotti “ecosostenibili”?

«Sì, ma questo lo dobbiamo alla moda. Un po’ come i prodotti biologici. Ma va bene così. Il fine giustifica i mezzi. Le persone allacciano la cintura di sicurezza per evitare la perdita di punti, non per salvarsi la vita. Ma l’importante è che la mettano. Nel caso dei prodotti ritenuti ecosostenibili, mi auguro solo che siano etichettati tali con cognizione di causa.»

Come sensibilizzare la popolazione mondiale?

«Io credo che la cosa più triste sia che tutti sanno cosa è giusto e sbagliato, ma in molti non hanno seri motivi per seguire il giusto. Per quanto riguarda i napoletani, o più generalmente i campani, potrebbe essere istruttiva una visita all’acquario Dohrn, nel quartiere Chiaia. Avrebbero la possibilità di vedere da vicino tartarughe vittime dell’inquinamento marino. Uno spettacolo triste, ma sicuramente toccante.»

Cosa possiamo fare?

«Il riciclo è il più grande aiuto che possiamo dare. Dovremmo poi evitare l’utilizzo di prodotti monouso e avere qualche accortezza nel quotidiano. Magari comprarci una borraccia non degradabile, anziché utilizzare ogni giorno una bottiglia diversa, e ricordare di buttare un cotton fioc nella spazzatura e non nel water.»

Crede ci sia una reale via d’uscita?

«Sì. Altrimenti non avrei intrapreso questo cammino accademico. Ma sarei bugiarda se mi ritenessi sicura di un successo. Purtroppo sono consapevole di vivere in un mondo dove è ancora difficile raggiungere collettivismi così importanti. Ma spero tanto di trovare sempre sulla mia strada persone che la pensino come me, e che mi forniscano ogni giorno un buon motivo per continuare a lottare.»

By Ilaria Rossi

Comments

  1. Ottimo!! Speriamo davvero che il suo lavoro possa riuscire a sensibilizzare chi di dovere o, perlomeno, ad ottenere risultati che mirino in questa direzione!
    Fantastica Serena! Continua così!!

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