Arte. A Bari incontro con il Maestro Miguel Gomez
BARI – Giovedì 29 giugno presso un negozio di Bari, dalle ore 17:30 alle 21:00, l’artista Miguel Gomez si è esibito nella realizzazione di un’opera di arte sulla pelle, dipingendo il corpo della modella Claudia Loseto con colori a pasta a base di cerone.
Miguel Gomez, al secolo Michele Loiacono, è nato a Wiesloch in Germania nel 1962. Dal 2009 si dedica alla Body Art, alla performance art e alle installazioni. Nel suo curriculum molte mostre in Paesi stranieri, ma soprattutto la direzione artistica della Bibart, prima Biennale Internazionale d’arte di Bari, svoltasi dal 15 dicembre 2016 al 15 gennaio 2017.
La decorazione del corpo ha origini remote, indietro nel tempo fino al 60.000 a.C, quando gli aborigeni australiani si procuravano cicatrici; passando per gli uomini primitivi (30.000 a.C.) che nutrivano scopi religiosi o apotropaici; gli antichi Egizi (4.000 a.C.) che applicavano pigmenti ai vivi e ai defunti; i Sumeri (500 a.C.); e ancora più recentemente i Pitti (300 d.C.) che si dipingevano a scopo intimidatorio; fino ad arrivare alla tradizione giapponese (550 d.C., ma vietata nel 1847d.C. e riammessa nel 1945 d.C.), in cui la dermocromia o pittura del corpo andava a sottolineare l’appartenenza a diverse classi sociali; Inoltre i più recenti nordamericani, il cui appellativo Pelli Rosse derivava proprio dalla loro abitudine a dipingere il corpo, che risultava diversamente abbellito a seconda si trattasse di eventi di guerra o di festa. Spesso la pittura del corpo era associata a cerimoniali di passaggio all’età adulta o allo scopo di attrarre il sesso opposto.
Al riguardo abbiamo rivolto le nostre domande Maestro Miguel Gomez.
La pittura del corpo ha origini antichissime. Lei in cosa ha attinto dalla tradizione?
«Io ho preso spunto da quelli che erano i segni antichi, i simboli antichi della pittura sul corpo che risale a più di 60.000 anni fa, quindi si può dire consista nella prima forma di pittura dopo quella nelle grotte. Io mi ispiro molto ai segni tribali, però ogni lavoro è un’improvvisazione, nel senso che ci sono sempre i segni tribali, però per quanto riguarda i colori mi faccio ispirare dalla modella, da quello che mi esprime la modella come colori, come se volessi tirar fuori i colori dell’anima di chi fa da modello o da modella.»
Quanto c’è del Maestro Aligi Sassu, che aderì al Primitivismo e all’Espressionismo, con cui lei ha collaborato?
«Di Aligi Sassu c’è sempre qualcosa, perché ho lavorato assieme a lui per molto tempo durante gli anni ’80. Ho lavorato con Aligi Sassu, ma anche con Emilio Greco, con Ernesto Treccani, con Vespignani, quindi tutte queste collaborazioni mi hanno indubbiamente influenzato.»
Lei a 19 anni è stato artista di strada, Come legherebbe le sue performance di allora a quelle di adesso?
«E’ difficile, sono due cose completamente diverse. All’epoca fare l’artista di strada era qualcosa di molto più semplice, molto più interessante, anche perché eravamo artisti giovani che si divertivano a lavorare per strada. Quando ho fatto il giro d’Europa sono stato uno dei primi a fare il mimo, oltre a fare gli acquerelli, le pitture classiche che si vendevano per strada. Sono partito con pochi soldi in tasca e son tornato con parecchie lire, tant’è che mi comprai la prima moto, quindi rendeva all’epoca fare gli artisti di strada. Comunque una bellissima esperienza, perché fu fatta con artisti americani, israeliani, era un gruppo.»
Esiste una location ideale le sue esibizioni sulla pelle?
«Non c’è una location ideale. Ovviamente se vogliamo parlare di fenomeno culturale, Berlino oggi è la città che più si adatta a queste performance: per gli spazi che ha e per i contrasti molto forti tra antico e moderno.»
Un pensiero alla città di Bari. Lei pensa che avrebbe bisogno di sottolineare la propria bellezza e di respirare arte?
«Guardi, tocca proprio la nota dolente della città di Bari. Io, grazie all’arte, per fortuna, son riuscito a fare il giro del mondo, perché ho fatto mostre dall’America, all’Australia, alla Spagna; ho girato un po’ gli Stati Uniti, l’Inghilterra, quindi ne ho viste un po’ di cose e mi dispiace dire che quello che sto vedendo in via Sparano è qualcosa di vecchio e desueto: queste forme, sono forme vecchissime che si trovavano nei Paesi Europei 30 anni fa. Al di là di questa che può essere una scelta estetica e quindi la si può contestare fino a un certo punto, quello che posso e voglio contestare è il fatto che la città è carente di arti visive, per gli spazi, per il supporto alle arti visive. Viviamo di concerti, che va benissimo: i concerti accomunano i giovani, però è ovvio che se la proposta è sempre quella alla fine si mangia sempre la stessa minestra. Se cominciassimo a diversificare anche le energie delle amministrazioni: io non dico che bisogna essere dipendenti dalle amministrazioni dal punto di vista economico, perché bisogna darsi da fare e trovare anche le energie per andare avanti, però l’aiuto dell’amministrazione diventa importante nella diversificazione della proposta. Bari è una città dove c’è tantissimo teatro, dove c’è tantissima musica che sta andando in crisi, perché tutti questi gruppi musicali non è che abbiano un grande pubblico, che poi lo si ottiene spendendo milioni di euro, come quello che è successo per il Medimex. Non voglio criticare il Medimex, un evento importante, la città ne ha bisogno, però occorre ed è importantissimo dare spazio alle arti visive con anche quelle che vengono chiamate opere di arredo urbano, inteso proprio come artisti, non c’è bisogno di chiamare i grandi artisti. Noi purtroppo non abbiamo questa volontà.
Insomma bisogna crederci?
«Io sono onorato di aver potuto dirigere la Prima Biennale di Bari che si è svolta nel dicembre scorso: non siamo stati creduti da nessuno, diciamo dai grandi organizzatori artistici della città, e l’amministrazione c’ha creduto in una piccola parte, però la cosa bella è che siamo riusciti a fare una Biennale disposta in 9 location, con 14.000 visitatori: questa è la cosa importante. Quindi io credo che bisogna continuare con le arti visive. La gente ne ha bisogno: se le cose si fanno vedere si crea il pubblico; se non si fanno vedere non si crea. Infatti quando io sono stato fuori, faccio il caso di Berlino proprio a marzo, ho visto centinaia e centinaia di giovani baresi a Berlino in giro per i musei. Se queste cose si potessero fare anche qui, se si spendesse qualche centinaia di migliaia di euro in meno per i concerti e si dedicassero alle arti visive, potremmo avere una città veramente più viva.»
By Daniela Buttiglione