Arte e scienza in Heartquake, la mostra alla chiesa di San Biagio Maggiore
NAPOLI – Il 23 Aprile è stata presentata a Napoli la mostra “Heartquake” a cura di Francesco Ciotola, evento di interesse per il CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’esposizione comprende le opere del collettivo O-ring Art Studio, fondato da Mauro Caccavale e Michela Alfè nel 2011. La mostra esporrà le opere in Domus Memini, la chiesa di San Biagio Maggiore situata in Via San Gregorio Armeno 35, fino al 30 di questo mese.
Mauro Caccavale è un fisico sismologo che porta avanti la sua passione per la fotografia, formatosi con Ugo Pons Salabelle a Napoli; Michela Alfè invece è un chimico che sviluppa e accresce la sua tendenza alle arti figurative e alla pittura, formatasi con Tullia Matania, pittrice napoletana. Mauro e Michela hanno trovato il modo di far convivere l’arte e la scienza, un progetto arduo da sviluppare, ma che quando trova un punto di equilibrio consente di andare oltre le materie prese in considerazione. Al riguardo, le opere che vengono proposte all’esposizione intersecano le vibrazioni terrestri in immagini di natura anatomica, con tecnica mista, amalgamando fotografia e pittura: esempio concreto è la tavola rappresentante un cuore, impresso con stampa in cianotipia, che pulsa attraverso la registrazione cartacea di epicentri di terremoti registrati in un dato intervallo di tempo in un’area del Nord Europa, sottoposta a un forte sfruttamento del sottosuolo.
Come si arriva a questa sintonia sulla linea di confine tra arte e scienza? Lo spiegano gli artisti Caccavale e Alfè rispondendo alle nostre domande.
Come siete riusciti a unire scienza e arte?
«Tutto nasce da una profonda esigenza: esprimere ciò che portiamo dentro, quindi una passione, un amore per le cose belle che ci circondano, cercando sempre di fondere la nostra attività professionale con questa esigenza profonda dell’animo. Michela cerca di esprimersi più dal punto di vista pittorico, perché è la sua formazione; io invece mi sono accostato tardi al mondo dell’arte, o comunque della rappresentazione artistica, e mi esprimo più con il mezzo della fotografia, con mezzi più tecnologici, quindi stampe digitali o recupero di tecniche antiche.»
Come le integrate?
«Quello che proviamo a fare è una lettura in chiave estetica di cose che sono e partono come fredde e di utilizzo prettamente tecnico: mappe sismiche o mappe cartografiche, oggetti che sono solo per utilizzo di tipo tecnico, hanno una bellezza intrinseca che noi cerchiamo di portare alla luce. Proviamo a perturbare l’equilibrio freddo di queste mappe, di questi oggetti di uso tecnico, con degli innesti organici: nel caso della mappa con le faglie, questa viene intersecata da un sistema organico in maniera ortogonale, che in qualche modo lo integra, lo contamina, ma lo arricchisce contemporaneamente. C’è uno squilibrio e un arricchimento.»
C’è un messaggio nelle vostre opere?
«Non vogliamo dare un connotato politico o ambientalista al lavoro, volevamo e vogliamo soltanto rileggere un fatto in chiave estetica, cercando di far riflettere sul fatto che il problema è lo spunto, ma non è lo svilupparsi del lavoro. In particolare il cuore, che è il centro di tutta la mostra, è disturbato da punti, da battiti, e i battiti sono terremoti, difatti sopra di esso c’è una sovrastampa di questa zona del Nord Europa. C’è comunque un parallelismo forte con il sistema terra che ha un modo di esprimersi, di evolversi, naturale attraverso terremoti, eruzioni vulcaniche, cicloni, tsunami, tante manifestazioni che noi viviamo in modo drammatico perché influiscono pesantemente sull’attività umana, sulle infrastrutture che l’uomo costruisce, ma per il sistema terra sono solo l’espressione naturale di un qualcosa che sta evolvendo e che si sta modificando.»
E voi ne avete colto la bellezza?
«Noi abbiamo voluto interpretare questa similitudine anche dal punto di vista umano, con queste contaminazioni: come possono esserci battiti del cuore o alterazioni del battito del cuore, così la terra ha dei terremoti, le sue alterazioni, e ciò non deve essere letto in chiave negativa. Il nostro reale intento era appunto avere uno sguardo esterno senza dover dare una visione negativa.».
By Francesca Roberto