Attivismo. Da Bucarest a Napoli la lotta della comunità romanì per il diritto all’abitare
NAPOLI – Venerdì 19 Gennaio avrà luogo a Napoli una lunga giornata di eventi, tutti collegati al filo rosso della lotta della comunità Rom di Napoli per il diritto all’abitare.
La manifestazione, dal titolo “Da Bucarest a Napoli, pratiche di resistenza dal basso e cambiamenti sociali”, avrà inizio alle ore 13:00 al ristorante Chikù di Scampia, dove avrà luogo un pranzo e l’incontro con la comunità Rom e con gli attivisti di Cupa Perillo, impegnati nel cercare di risolvere con bonifiche e soluzioni reali il problema della questione abitativa.
Il ristorante Chikù di Scampia è il primo ristorante italo-romanì d’Italia nonché sede dell’impresa La Kumpania e della onlus “Chi Rom e… chi no”, punto d’incontro e valorizzazione della cultura balcanica e Rom, che attualmente impegna lavorativamente più di dieci persone in un progetto sociale di ristorazione.
Successivamente, dalle ore 18:00, l’iniziativa si sposterà all’Ex Asilo Filangieri, con l’introduzione alla tematica da parte di Emma Ferulano di “Chi rom… e chi no” e di Emiliano Esposito del Gran Sasso Centre Istitute, lì sarà proiettato il documentario “Inceput Ploaia – Fighting to the right to housing in Bucharest” del regista italiano Michele Lancione, che racconta la battaglia svoltasi tra il 2014 e 2016 da circa un centinaio di romanì di Vulturilor50 a Bucarest, per rivendicare il diritto all’abitare.
La giornata terminerà con una cena organizzata da La Kumpania e precedeuta da una tavola rotonda aperta al dibattito e occasione di discussione su strategie reali di organizzazione politica.
Sull’argomento abbiamo intervistato Emma Ferulano del ristorante Chickù e dell’associazione “Chi rom… e chi no”.
La situazione attuale dei gruppi Rom?
«I gruppi rom sono da anni confinati in quelle soluzioni abitative che chiamano ‘campi’, che possono essere istituzionali o non autorizzati. A Scampia per esempio, da oltre 25 anni, si sono appostati ai confini della città in un campo non autorizzato e in maniera auto organizzata. La differenza tra i due è che quest’ultima opzione permette di avere una maggiore libertà nei confronti di quelle forme di controllo e oppressione che mette in atto lo Stato al prezzo di misure di assistenzialismo spesso davvero scarne. Ed è stata per questa motivazione che abbiamo deciso di porre in maniera decisiva la questione dell’abitare nella nostra agenda politica. Ma è una lotta che affrontiamo non solo come lotta per il diritto alla casa per i Rom, è una battaglia che rivendichiamo come diritto alla casa per tutti i cittadini.»
Quanti gruppi ci sono a Napoli?
«Attualmente nel napoletano ci sono due grandi gruppi romanì, i cosiddetti Rom rumeni di Gianturco e quelli slavi di Scampia. La situazioni di Gianturco è divisa tra i gruppi istituzionali, alloggiati in un campo vicino Poggioreale, che rappresenta comunque una soluzione di precarietà; e i gruppi non autorizzati, perennemente a rischio sgomberi. A Scampia la situazione presenta una criticità ancora più complessa, perché la comunità presente da quasi trent’anni rischia quotidianamente lo sgombero, mentre una parte di essa, al seguito degli incendi di agosto, è stata invece alloggiata nell’auditorium di Scampia, dove da ormai cinque mesi oltre cinquanta persone sono relegate a vivere, ognuna ritagliandosi i propri spazi, in una struttura non adatta a questo tipo di accoglienza e che presenta solo cinque bagni e una sola doccia. Cucina non ne hanno e quindi si sono attrezzati come potevano con qualche piastra, ma quando necessario abbiamo messo a disposizione la nostra cucina. Inoltre mancava pure il riscaldamento, acceso solo per poche ore al pomeriggio, e quindi molti bambini si sono ammalati, anche di bronchite»
Dunque perché questa iniziativa?
«Vogliamo offrire una rappresentazione che vada oltre gli stereotipi, non folkloristica. Oggi non esiste propriamente una cultura unica nei gruppi Rom, ma è più una situazione di multiculturalismo che va oltre il concetto di etnicità o di singola classe sociale. Ciò è dovuto non solo al fatto che provengono spesso da paesi diversi, ma anche dal fatto che risiedono qui da decenni e quindi anche loro subiscono le influenze e le contaminazioni della cultura locale. E ciò che vogliamo creare sono processi di consapevolezza per elevare a questione cittadina questi che sono presidi di resistenza nell’affermare il diritto all’abitare. Per questo ci ha subito colpito il documentario di Michele Lancione, che definirei più come un film politico, che rende più chiaro quel filo rosso che unisce la cultura Europea nelle modalità con le quali tratta i romanì e le fasce sociali più esposte e marginalizzate.»