Attivismo. Il corteo napoletano di “Non una di meno”
NAPOLI – Giovedì 8 marzo a partire dalle ore 18:00 si è svolto il corteo cittadino “8M – Napoli / La marea Transfemminista torna nelle strade e sciopera”, organizzato da “Non una di meno – Napoli”, rete in cui confluiscono collettivi e diverse realtà associative del femminismo. Il corteo, organizzato per manifestare contro ogni forma di violenza maschile, al grido di #wetoogether è partito da Piazza Dante ed è arrivato nella Galleria Principe di Napoli, dove ha poi avuto luogo un concerto alle ore 21:00.
8 marzo è stata una giornata di sciopero globale: fermata la didattica nelle scuole; all’interno dell’Università “L’Orientale di Napoli” sono state rinominate simbolicamente le aule con i nomi di teoriche femministe; poi anche un presidio solidale all’esterno del carcere di Poggioreale, per le donne trans detenute in carcere; infine la giornata è culminata nel corteo delle ore 18:00.
Attiviste, militanti, disoccupate, precarie, casalinghe, pensionate e studentesse, tutte unite contro lo sfruttamento e la discriminazione: dall’orientamento sessuale ai pregiudizi e stereotipi di ogni genere. “Siamo scese in piazza perché non ne possiamo più di subire quotidianamente ogni tipo di violenza”, ha affermato al riguardo Francesca, un’attivista di “Non una di meno – Napoli”.
Una manifestazione ricca di esperienze di solidarietà e organizzazione popolare, che ha visto anche una numerosa partecipazione di uomini e ha avuto numerosi punti focali: gridare la propria autonomia e autodeterminazione; ribadire la libertà di poter scegliere sul corpo e sulla vita; avanzare una critica ai partiti che, nel corso della campagna elettorale, hanno citato nei programmi la violenza sulle donne senza riconoscere però il carattere sistemico della violenza stessa; sottolineare il razzismo crescente di questo periodo storico, le violenze e le restrizioni imposte ai migranti.
Milioni di donne hanno manifestato in tutto il mondo l’8 marzo, in Italia in oltre 40 piazze. A Napoli, il lungo corteo radunatosi in Piazza Dante, è avanzato tra le strade del centro con tantissimi striscioni, fiocchi, sciarpe e parrucche; al ritmo di musica, accompagnato da “La banda Basaglia”; “Il fronte Murguero Campano” e “DjSet Favoloso”; durante la manifestazione si sono susseguiti diversi interventi a microfono aperto, sentiti e condivisi dai presenti, come l’intervento dell’attivista della rete cittadina Tania: “Noi sappiamo perfettamente che la violenza sulle donne non è un fatto emergenziale, non è un fatto patologico, ma è strutturale e culturale: da sempre le donne subiscono maltrattamenti e violenza maschile. Ogni due giorni muore una donna per mano del proprio partner, di un proprio familiare, di una persona di cui la donna dovrebbe fidarsi. Non è colpa dei migranti se le donne muoiono, non è l’estraneo che uccide noi donne, ma sono le persone a noi vicine. Un milione e ottocentomila donne in Italia hanno subito almeno una volta una forma di violenza da parte di un uomo. Lungo Via Roma abbiamo disegnato 26 sagome bianche, ricordando le donne nigeriane morte nel mese di novembre per attraversare il mediterraneo: per cercare una forma di libertà, cercare un Paese migliore dove poter vivere.”.
Nella Galleria Principe di Napoli, una volta giunto il corteo, ha avuto luogo il concerto che ha sancito la fine della giornata di sciopero e mobilitazione. I presenti hanno assisto alle esibizioni di Refole e Viento, Ardesia, Valentina Tesorone, La Boutique Chantante, La Bandarotta Bagnoli, Dolores Melodia, Libera Velo, Elem Godere Operaio.
Riguardo la manifestazione abbiamo rivolto le nostre domande a un’attivista di “Non una di meno”: Chiara Iovinella.
Come nasce il movimento?
«Il movimento “Non una di meno” nasce in Argentina nel 2015, in seguito a casi di violenza che hanno interessato e interessano diversi Paesi del Sud America. Da lì si è diffuso in Europa e nel resto del mondo. In Italia nasce nell’ottobre del 2016, con una prima assemblea fatta per lanciare il movimento, poi seguita da altre. Tra il 2016 e il 2017 ci sono stati diversi tavoli di lavoro e assemblee in tutta Italia: a Roma, Pisa, Bologna, Milano. Donne di diversa provenienza e professionalità come attiviste, giornaliste, avvocate, operatrici dei centri antiviolenza, hanno contribuito a elaborare un piano contro la violenza maschile e la violenza di genere, dal basso, da parte di chi vive quotidianamente la violenza e di chi la contrasta.»
Cosa prevede il piano?
«Il piano riporta il sunto delle discussioni che sono state svolte dai tavoli, riguardano i centri anti violenza, dei quali si stabilisce la laicità, l’indipendenza dalle Istituzioni, l’essenza: cioè luoghi di donne per le donne, luoghi politici all’interno dei quali non si svolge un servizio, ma si cerca di lavorare in maniera cooperativa per effettuare una trasformazione del reale. Si richiedono fondi diretti ai centri per garantirne la sopravvivenza e l’efficienza. Si parla anche della comunicazione, di come cioè la violenza sia narrata dai media: sentiamo sempre parlare di raptus di follia quando in realtà la violenza è strutturale e culturale. L’intento è quello di fare un lavoro di formazione, agendo quindi nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi e le ragazze alle tematiche di genere, ma anche nella relazione tra i diversi soggetti che si occupano di violenza; anche i giornalisti, creando la consapevolezza che di fronte a una tragedia è improprio parlare di raptus, ma occorre ragionare in termini più ampi di rapporti sociali: non si tende a cooperare, ma a prevaricare sul più debole anche all’interno della famiglia, di solito è l’uomo che attua comportamenti violenti nei confronti delle donne. Si è discusso anche della sessualità, della salute riproduttiva e quindi dell’importanza di avere profilattici gratuiti, così come la pillola anticoncezionale o il rendere più accessibile l’uso della pillola RU486, strumenti insomma che permettano l’autodeterminazione del proprio corpo.»
A che punto siamo?
«Il piano è concluso ed è stato presentato, al momento le declinazioni locali della rete “Non una di meno” discutono su come attuarlo.»
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