Attivismo. La Fenice contro il randagismo
NAPOLI – Il rifugio “La Fenice”, situato a Ponticelli, quartiere a est di Napoli, apre le porte per farci entrare in un mondo fatto di coccole e occhi dolci.
Con l’avvicinarsi del Natale ci si sente più buoni, quindi perché non dare un’opportunità a un amico a quattro zampe? Al riguardo abbiamo incontrato Melina Vitale, la proprietaria del rifugio “la Fenice”, dell’associazione A.D.L.A. onlus (Associazione Difesa e Libertà Animali) per i randagi sul territorio napoletano, con i suoi volontari e i 250 cani.
La signora Melina, proprietaria del rifugio, racconta che gli abbandoni sono tantissimi e sono davvero poche le persone che lasciano gli animali in ‘modo umano’: «Chi ha un minimo di cuore li porta qui e ammette di non poter prendersene cura, ma ci sono anche persone che li legano a un palo, c’è chi li lascia girovagare da soli, chi li lascia fuori al nostro rifugio in una strada trafficata. Nell’ultimo periodo abbiamo dovuto installare il filo spinato per non farci lanciare i cani da sopra al cancello».
Melina ha sempre fatto volontariato e ha creato un luogo fisico dove accogliere e aiutare i cani che, una volta sterilizzati dall’ASL, venivano comunque rimessi sul territorio: «La prima lamiera che è stata messa qui è stata il 28 agosto 1999. Avevamo già occupato un vecchio deposito in Via Argine. Una volta pulito sistemammo una quarantina di cani, fino a quando non abbiamo avuto l’ordine di sfratto perché occupavamo uno spazio abusivamente. Quindi abbiamo trovato uno spazio abbandonato, che oggi è il nostro rifugio in Via Virginia Woolf 133, e da un piccolo quadrato abbiamo man mano allargato la superficie del rifugio».
Ma la storia del rifugio “La Fenice” e dei loro cagnolini è fatta di continue ordinanze di sgombero per occupazione abusiva, ne sono arrivate tante negli anni. L’ultima un paio di anni fa, e il rifugio rischiava la chiusura: «Ogni sei mesi ci mandavano il comunicato di sfratto, risultavamo abusivi per una parte di rifugio, anche se non è diviso, ma è un unico spazio», racconta una delle volontarie.
Il rifugio nasce con l’obiettivo di aiutare gli animali, soprattutto quelli che hanno difficoltà fisiche. Tra loro ci sono molti cani che sono stati salvati da morte certa, con gravi lesioni fisiche, problemi dovuti all’età o congeniti.
Per esempio c’è Leoncino, sbranato da un branco di cani: quando i volontari furono allertati trovarono sul posto una situazione tragica. Il cane era in uno stato pietoso e aveva un’infezione grave perché tenuto in un ambiente poco pulito. Fu portato al rifugio in cui lo attendeva un veterinario per curarlo, ma nonostante gli sforzi il veterinario non poté fare altro che portarlo in ambulatorio e amputargli la zampetta. E’ al rifugio ormai da molto molto tempo, nonostante sia un cane dolce e attivo.
C’è anche Micky, un Border Collie: fu sparato e ha perso la funzionalità delle zampe posteriori.
E ci sono cani speciali come Cami, che poggia il suo musone sulle gambe dei volontari e se ne sta così, immobile, a farsi coccolare con gli occhietti chiusi: è sorda a causa di una malformazione congenita alle orecchie, e purtroppo il veterinario ha dovuto amputargliele.
E poi ci sono tantissimi cani anziani, alcuni dei quali entrati nel rifugio da cuccioli e mai usciti, o addirittura adottati e poi rimandati in dietro, come il ‘reso di un regalo’ non piaciuto.
Cosa succede quando arriva una segnalazione al rifugio? Si verifica innanzitutto se il cane abbia o meno il microchip: una capsula biocompatibile, grande quanto un chicco di riso, che viene inserita attraverso un’iniezione sottocutanea tra le scapole del cane. Contiene un numero a 15 cifre che ha la funzione di identificare in modo univoco il nostro amico a quattro zampe. Ci può aiutare a ritrovarlo in caso di smarrimento e disincentiva l’abbandono, perché si può facilmente risalire ai dati del proprietario. In seguito al recupero e alla verifica dell’animale si esegue la sverminazione: tutte queste operazioni sono a carico economico del rifugio o meglio dei volontari e della proprietaria: «Facciamo il massimo per questi cani, ma siamo anche noi letteralmente abbandonati. Siamo abbandonati in un’oasi d’indifferenza, ma per qualsiasi problema vengono da noi. Abbiamo debiti con i veterinari: un intervento per un’amputazione arriva a costare 2mila euro. Motivo frequente dell’abbandono sono proprio i costi per curarli, soprattutto vengono abbandonati cani con tumori».
Il rifugio si auto sovvenziona, per questo motivo sono tanti gli eventi organizzati dal personale: primo fra tutti “La festa di Primavera”, organizzata ogni anno. In più ogni fine settimana si tengono incontri in Piazza Trieste e Trento, a Napoli.
Prossimamente è in programma, per domenica 1 dicembre, lo spettacolo “Bau Bau Natale”, uno show di canto, ballo e risate a sostegno di una raccolta fondi per il rifugio e i suoi ospiti a quattro zampe. Grazie anche a questi eventi sono state possibili circa 1.800 adozioni dal 2009, una grande vittoria
- Attivismo. La Fenice contro il randagismo - 19 Novembre 2019