BCE stamperà moneta. Persi 6 anni con inutile austerità
FRANCOFORTE – La Banca Centrale Europea ha sede in Germania, e solo uffici di rappresentanza a Bruxelles e Washington, ciò lascia intuire da chi e da cosa siano influenzate le politiche economiche europee. Premesso questo, la BCE si appresta a realizzare, annunciandolo domani al termine della riunione di politica monetaria dell’Istituto governato da Mario Draghi, un piano di acquisto di titoli di Stato mirato a far risalire l’inflazione nell’Eurozona e dunque rilanciare la crescita economica dei Paesi europei, con la complicità del prezzo sempre più basso del petrolio e del valore della moneta europea scambiata ormai quasi alla pari del dollaro. Questo piano, denominato “QE – Quantitative Easing”, non è altro che uno strumento di immissione di liquidità che avrebbe dovuto utilizzare l’Italia ben 6 anni fa, all’inizio della crisi economica, se solo non avesse rinunciato alla sovranità monetaria. Ci arriviamo dunque con 6 anni di ritardo, nei quali la popolazione italiana è stata stremata dalla politica fallimentare di austerità del governatorato finanziario europeo e dei Governi tecnici italiani.
Secondo alcune ipotesi, visto che per importi minori non servirebbe a nulla, il QE della BCE dovrebbe consistere in un’immissione di moneta sui mercati per 50 miliardi al mese, acquistando titoli di Stato dei Paesi membri europei da marzo 2015 fino al 2016. Sempre secondo le ipotesi, sembra che siano esclusi da questo piano i titoli di Stato della Grecia, del Portogallo e di Cipro, perché i loro titoli attualmente risultano al di sotto del rating minimo necessario alla sicurezza del rientro del capitale investito.
La BCE dunque creerà dal nulla il denaro fresco necessario per investire nella propria economia, come fanno regolarmente gli Stati Uniti d’America, l’Inghilterra, il Giappone e tutte le Nazioni che hanno mantenuto la Sovranità monetaria. Questa operazione dovrebbe in teoria deprezzare ulteriormente l’euro sul dollaro favorendo l’export europeo; creare inflazione; abbattere il costo del denaro e quindi dei prestiti, facilitando l’accesso al credito per le imprese. Ma è l’ultima spiaggia, una risorsa che in altri Paesi ha funzionato dopo almeno 2 anni di immissione regolare di denaro fresco nelle casse delle banche centrali nazionali, funzionerà anche in un’Europa unita solo sulla carta, divisa da ideologie, valori e interessi economici? L’Italia ha la possibilità di attendere ancora?