Diritti. Il Pride napoletano oltre i colori
NAPOLI – Sabato 14 luglio, da Piazza Dante al lungomare di Mergellina, tra balli e canti, un lungo corteo ha sfilato in occasione del Mediterranean Pride of Naples. La manifestazione più colorata dell’anno, attraversando la città, ha celebrato la libertà di essere se stessi.
Il Pride affonda le sue radici storiche in un episodio del lontano 1969, quando alcuni membri della comunità LGBT di New York si ribellarono ai continui soprusi subiti dalla polizia. Al riguardo, abbiamo intervistato Antonello Sannino, presidente Arcigay Napoli, tra gli organizzatori del Mediterranean Pride 2018.
Come spiegare il Pride a chi non ha mai partecipato?
«Generalmente viene visto come una pseudo-carnevalata: anzitutto è uno dei pochi momenti in cui la gente scende in piazza per festeggiare la libertà di potersi sentire se stessi; questa passa anche attraverso gli sfarzi, perché ci ricorda quel ‘69 a Stonewall, quando le transessuali si ribellarono alla polizia di New York attraverso i colori e le piume. Il Pride nasce da un momento di tortura di una società grigia e binaria, ma è bene che sia conosciuto come una festa per la libera espressione di sé. Un giorno, durante un corso di formazione di Arcigay, fu chiesto: “Cos’è per te il Pride?”, e una ragazza rispose: “Per me il Pride è quel giorno in cui io mi guardo intorno e sento di essere maggioranza nella mia città.”. La vera vittoria del Pride è arrivare a essere orgogliosi di sé tutti i giorni.».
Cos’è cambiato dal primo Pride a Napoli del ‘96?
«È cambiato tanto. Quelli erano gli anni dei primi Pride; il primo vi fu a Roma nel ’94. Dopo due anni, il primo al Sud fu proprio a Napoli: vi fu il supporto di Bassolino e di grandi artisti napoletani come Mario Merola. Oggi stiamo tornando pericolosamente indietro, non solo nei confronti dei diritti per la comunità LGBT, ma anche delle comunità migranti e Rom. Questo attacco ai diritti inviolabili della persona e i diritti civili è un passaggio culturale, ancor prima che politico, pericolosissimo nel nostro Paese. È arrivata però la legge sulle unioni civili, si discute di genitorialità LGBT. In parte, un pezzo della rivoluzione è stato realizzato, ma non bisogna mai abbassare la guardia, perché i diritti acquisiti possono essere facilmente persi. Oggi i membri della comunità LGBT, grazie alle associazioni, ai social network e a una maggiore fiducia nelle forze dell’ordine denunciano coraggiosamente gli attacchi subiti.»
Generalmente i Pride si celebrano a giugno. Perché quest’anno il 14 luglio?
«Abbiamo dato precedenza al Pride regionale di Pompei. La data è ovviamente simbolica, con un richiamo ai valori di liberté, égalité, fraternité. Il Pride di Napoli è stato dedicato, quest’anno, alla fraternità che adesso chiamiamo solidarietà, senza la quale la libertà e l’uguaglianza non hanno senso di esistere; una solidarietà globale, anche verso i migranti, che fuggono da terribili realtà; a loro andrebbero poi trasmesse, non imposte, le regole di questo Paese, cosicché imparino a rispettare il ruolo della donna e la comunità omosessuale, poiché all’interno delle comunità migranti c’è un alto tasso di misoginia e omofobia. Abbiamo scelto poi come madrina la madre di Vincenzo Ruggiero, ucciso brutalmente poco più di un anno fa e tra le testimonianze dell’evento Antonio Amoretti, partigiano delle Quattro Giornate di Napoli.»
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