Emergenza freddo. Trovate Salvatore, veniva da Miano

ROMA – L’emergenza freddo continua, da novembre 2018 a gennaio 2019 sono già dieci le persone senza fissa dimora che hanno perso la vita nella Capitale. Tra i nomi senza volto in disagio sociale segnaliamo la storia di Salvatore, veniva da Miano, rione di Napoli: ogni volta che qualcuno gli chiedeva se intendesse Milano, lui accennava un sorriso e rispondeva con garbo: “No, Miano. Quartiere a Nord di Napoli, a Milano non son mai stato.”, e il più delle volte l’interlocutore prontamente rispondeva: “Napoli, ‘o Vesuvio!” e a quel punto Salvatore si toccava il cappello, mimava un inchino e si congedava. L’interlocutore rimaneva così, perplesso, in attesa di ascoltare una qualche battuta su Totò, Peppino e la Malafemmina.

Incastonato fra Scampia e Secondigliano, il rione di Miano nacque come piccolo feudo di Casa Borgia. Salvatore ne andava fiero quando il nonno, prima di coricarsi, gli raccontava la storia del quartiere. A cinque anni non aveva la più pallida idea di cosa fosse un feudo, ma sembrava importante e gli bastava questo. Inoltre, Miano era anche l’unico luogo al mondo che custodisse la quinta porta. “Così la chiamava mio nonno, la quinta porta”. Era in effetti una delle cinque porte di accesso al bosco di Capodimonte, costruite intorno al 1840 all’altezza del vallone di San Rocco. Nello spiazzale di fronte al bosco, durante l’occupazione, i nazisti vi costruirono una base militare. La magia della porta si rifà proprio a quel momento storico in cui, secondo l’ormai antica leggenda, i nazisti, cacciati dai napoletani, scapparono via da quella porta per non farvi più ritorno.

Difficilmente però Salvatore si lasciava addormentare dopo la cacciata dei nazisti, perciò il nonno gli raccontava l’ultima storia, la sua preferita. Ad Aversa, ricordava il nonno, venne costruita sotto Gioacchino Murat “La Real Casa per Matti di Aversa”, considerata anche il primo manicomio d’Italia. Qualche anno dopo, precisamente nel 1825, un medico che lavorava lì decise di aprire una casa di cura privata a Miano. Proprio lì si consumò la leggenda che preferiva il piccolo Salvatore. Uno dei matti, che matto non era, capì che se non avesse preso la pillola della mattina sarebbe riuscito a decifrare il codice della cassaforte del direttore. Una mattina quindi si svegliò, nascose la pillola sotto la lingua, decifrò il codice e scappò via con i soldi del direttore.

Salvatore ancora si ricorda le ‘cazziate’ che la nonna faceva al nonno ogni volta che lui iniziava con la storiella del Matto di Miano. “Poi non ci lamentiamo se cresciamo i delinquenti! Guarda che storie che vai raccontando!”. Salvatore rideva e, finalmente, si addormentava. A Miano Salvatore c’era cresciuto. Che fosse un quartiere difficile lo scoprì solo quando gli spuntarono i primi brufoli sulla fronte, ma fino all’adolescenza quella era casa, e non c’era niente di più semplice.

L’apertura della fabbrica della Peroni, nel 1953, fu un vero shock per Miano. All’epoca Franco Peroni decise di creare una cittadella intorno alla fabbrica, doveva essere il birrificio più avanguardistico della storia. Negli anni a venire crebbe fino a produrre il 25% della birra nazionale. Se fosse all’avanguardia o meno a Salvatore poco importava, di certo si sentì adulto quando, appena ventenne, fu assunto come operaio. A partire da quel momento, diceva Salvatore, la sua storia avrebbe iniziato a incrociare la storia, quella vera, e non più quella del nonno. La cittadella della birra divenne in poco tempo la sua cittadella, nonostante a lui la birra non fosse mai piaciuta. Per vent’anni lavorò in quello stabilimento. Nessuno tra loro, diceva Salvatore, pensava che avrebbe potuto fare altro nella vita. E se per alcuni questa consapevolezza poteva risultare poco lusinghiera, a lui non dispiaceva.

L’appuntamento con la storia però non si fece attendere, e nel 2004 gli azionisti della Peroni decisero di cedere le proprie quote a una multinazionale sudafricana. Per più di 150 operai ci fu il licenziamento, per gli altri venne proposto un ricollocamento. Nel 2006 la fabbrica fu chiusa definitivamente lasciando disattesi gli accordi sul ricollocamento dei dipendenti. Quel che successe dopo, Salvatore non lo raccontava: conobbe Cornel a Roma, mentre erano sull’889 in direzione Val Cannuta. Seduti l’uno fianco all’altro. Cornel continuava a ripetere silenziosamente una frase: “prega Gesù”, e Salvatore pensò, dopo anni, al matto di Miano, che matto non era. Entrambi erano finiti in un pezzo di mondo che non avevano scelto, e che, soprattutto, sembrava non volerli scegliere. Non parlavano molto tra loro, Cornel era in Italia da poco tempo e Salvatore era sempre stato timido. Nessuno però, vedendoli camminare insieme, avrebbe potuto dire che non si capivano.

Cornel è morto di freddo a Roma, il 13 gennaio di quest’anno, dormiva su una panchina a Piazza Irnerio, poco distante dove conobbe Salvatore.

L’ex Fabbrica della Peroni nel 2019 diventerà un centro commerciale con 68 negozi e 1.300 parcheggi distribuiti su più livelli: “Uno spazio al servizio della gente”, dicono gli ideatori del progetto.

Il matto di Miano si aggira per il quartiere baldanzoso, sa che nel nuovo centro commerciale ci sarà da lavorare. Ma di Salvatore nessuno sa più niente, però lui ne ha sempre saputo più di tutti

Marica Fantauzzi

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