Epatite C in ambiente carcerario: un problema sommerso
NAPOLI – L’epatite C costituisce un problema in ambito penitenziario. Le strutture confinate, fortemente promiscue e sovraffollate, ampliano i dati di prevalenza ed incidenza. Inoltre è difficile quantificare la patologia a livello globale, per cui un cospicuo numero di infezioni restano sconosciute. Tra le cause, il rifiuto per ignoranza o per calcolo, il timore di emarginazione, il timore di spostamenti e/o trasferimenti, la sfiducia negli operatori e nella struttura carceraria.
Secondo l’articolo 11 della Legge 354/1975 dell’Ordinamento penitenziario, revisionato con D.P.R. 230/2000, i detenuti hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, all’erogazione di prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione efficaci ed appropriate. Un’indagine epidemiologica del 2007, condotta in 14 carceri italiane, aveva rilevato che il 38% dei detenuti risultava affetto da infezione da Epatite C. Ciò può essere dovuto a un numero elevato di tossicodipendenti per via endovenosa, che in regime di libertà hanno assunto molto facilmente comportamenti a rischio di infezione, utilizzo di effetti personali in comune, esposizione cutanea o mucosa a sangue durante colluttazioni. Per tale motivo risulta estremamente difficile portare alla luce un’effettiva prevalenza dell’infezione da HCV nelle carceri italiane.
“C’è sicuramente un calo rispetto ai dati rilevati nel 2007, ma i numeri sono ancora troppo alti”, è quanto sostiene il gabinetto di Laboratorio Analisi della Casa Circondariale Napoli – Poggioreale “Giuseppe Salvia”. Ma è curioso notare che in carcere il riscontro di una patologia epatica avviene molto più facilmente: sia perché il detenuto si trova in un ambiente in cui l’accesso all’assistenza medica è facilitato, sia perché la frequenza dei controlli è maggiore rispetto all’esterno. Infatti, in ambiente carcerario, tutti i ‘nuovi giunti’ sono sottoposti a una prima visita medica, in ambulatorio medico di accettazione, e a una visita da parte del sanitario di reparto, dove vengono ospitati subito dopo l’ingresso.
“È urgente una maggiore attenzione alla prevenzione, la diagnosi e il trattamento dell’infezione da HCV tra le popolazioni dei detenuti”, è una sintesi che evidentemente vale per tutti i Paesi del mondo, in ambito carcerario, ed è emersa dallo studio Incidence and prevalence of hepatitis C in prisons and other closed settings: results of a systematic review and meta-analysis, condotto da Sarah Larney ricercatrice al National Drug and Alcohol Research Centre dell’Università of New South Wales di Sydney.
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