Fase 2. La richiesta di aiuto dei parrucchieri italiani
WEB – Da domenica 26 aprile, in seguito alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in cui ha annunciato che attività come bar, ristoranti, centri e saloni estetici potranno riaprire solo dall’1 giugno, moltissimi parrucchieri, delusi dalla decisione di escludere la loro riapertura in questa Fase 2, hanno lanciato il loro grido di aiuto attraverso i social, criticando pesantemente la scelta del Premier e denunciando i loro problemi e le loro preoccupazioni riguardo a tasse, mutui e dipendenti da pagare. La protesta arriva anche in concreto, alzando le saracinesche dei locali o accendendo le luci. Una protesta civile.
Il CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) ha dichiarato 135mila parrucchieri a rischio. Tutti loro hanno storie diverse, ma accomunati dal voler riaprire il prima possibile i locali in cui hanno trascorso quasi tutta la vita. Al riguardo abbiamo raccolto e pubblicato alcune significative testimonianze: Franco Molinari ha il suo gioiellino nella provincia di Varese, «Uno dei più grandi saloni di Saronno» dice. Ha 5 dipendenti, non aiutati dallo Stato, e ancora aspetta con l’aiuto della commercialista per ottenere i 25.000 euro di prestito dalla banca. Non si aspettava che il Governo avrebbe prolungato la chiusura di saloni e centri estetici fino all’1 giugno. Addirittura il Sig. Molinari, per il 4 maggio, giorno della potenziale riapertura, aveva comprato materiali e trascritto le prime prenotazioni: «Tutti noi negozianti ci sentiamo abbandonati. È facile dire restiamo a casa con lo stipendio fisso» afferma, e tiene a precisare con tono polemico che ancora oggi tutti i parlamentari hanno i capelli pettinati, e questo non è per nulla giusto. Oggi ha una voglia tremenda di ricominciare, concludendo: «Un mese fa tutti cantavano, oggi sono tutti incazzati».
Graziano Zulli è un parrucchiere abruzzese, proprietario di un salone nella provincia di Chieti, ma rispetto ai suoi colleghi non è molto arrabbiato per le scelte di Conte e del suo Governo: «È giusto seguire le regole per salvarci». Ma ogni giorno del periodo di quarantena sente il peso e il senso di colpa verso i suoi 7 dipendenti, non aiutati dallo Stato: «Questi 600 euro sono totalmente inutili, io pago 663 euro di luce nel mio locale». La sua parola d’ordine è ancora protesta civile, perché il Sig. Zulli non sopporta chi offende Conte gratuitamente e desidera solo che a tutte le categorie vengano date maggiori informazioni, senza essere lasciati in un limbo. Zulli chiede principalmente una cosa: «Per favore almeno non fateci pagare le bollette».
Laura Ballarin ha 3 importanti saloni nel centro di Milano e 10 dipendenti. Per lei le parole di Conte sono state una doccia ghiacciata: «La mia categoria non può resistere altri mesi senza lavoro. È impossibile che i contagi arrivino a zero, dobbiamo riaprire!». La negoziante milanese racconta che circa il 15% dei suoi colleghi potrebbe non riaprire più. Sostiene inoltre che sia meglio riaprire i locali in sicurezza, invece di far aumentare la piaga dell’abusivismo. Infine conclude amareggiata, dicendo di aver fatto una stima, secondo la quale probabilmente potrà ritornare a un bilancio economico positivo solo dopo 6 o 8 mesi dalla riapertura dei suoi locali
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