Fotografia. Morganti a Officina Giovani
PRATO – Venerdì 17 febbraio alle ore 18:30, presso Officina Giovani in Piazza dei Macelli 4, è stata inaugurata la mostra fotografica Berlin Project dell’artista fotografo Helmut Morganti, che rimarrà visitabile a ingresso gratuito fino al 4 marzo 2017, dalle ore 15:00 alle 19:00. L’evento fa parte della rassegna Officina Giovani-Inverno 2017.
La location è quella delle celle frigorifero degli ex macelli e le immagini proposte da Morganti, sei foto di donne in bianco e nero, sono state scattate durante la sua permanenza a Berlino dal 2012 al 2016: immagini raccolte in giro per gli edifici situati in periferia di Berlino, preferendo come scenario ospedali abbandonati. Particolarmente toccante la foto del Binario 17, su cui transitavano i treni per Auschwitz.
Per l’occasione abbiamo rivolto le nostre domande all’artista Helmut Morganti.
Come nasce il Berlin Project?
«L’idea del progetto nasce ed è stato sviluppato a Berlino: lì ho abitato quattro anni e la mia ricerca è stata sempre un po’ incentrata sulla psichiatria, sugli i abusi. Inoltre, come tipologia di ritratto, mi piace usare la figura femminile, la donna, anche perché è sempre quella più esposta a forme di violenza, e poi anche in certi tratti rappresenta la parte femminile all’interno dell’uomo, quindi volto di presenza».
Chi sono le donne ritratte nelle sue foto?
«Sono tutte persone comuni, senza esperienze forti e senza esperienza cinematografica: sull’argomento ho girato anche un cortometraggio».
Cortometraggio intitolato?
«Frontal lobotomy. E’ un cortometraggio che parla di una donna con disturbi di personalità, un tema comunque che affronta il disagio. Il video è stato girato in una piscina abbandonata di Berlino, a Pancow. Tutti i volti hanno un chiodo nell’occhio che rappresenta la mia interpretazione sulla lobotomia frontale, e tutte queste foto sono state messe sul muro della piscina e poi abbiamo girato il cortometraggio. Io ho fatto molta Street art anche a Berlino, posizionavo foto abbandonate e poi le rifotografavo»