Iran. Genuinità e ospitalità nel racconto di un ricercatore napoletano
TEHERAN – Il blocco delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, sancito dall’esecuzione del leader sciita Nimr al-Nimr, ha inaugurato un nuovo clima di tensioni internazionali. Il bombardamento dell’ambasciata iraniana in Yemen, le improvvise variazioni del prezzo del petrolio e le sempre presenti accuse di terrorismo, oltre a destabilizzare i già precari equilibri geopolitici, preoccupano non poco le potenze dell’area Mediorientale, che vedono nell’Iran l’unico Stato capace di opporsi alle ingerenze dei partner statunitensi. Per una migliore trattazione dell’argomento, abbiamo deciso di contattare Simone Florio, 37enne napoletano, ricercatore e analista indipendente, che durante uno dei suoi viaggio di studio e di approfondimento ha potuto conoscere e studiare dall’interno la natura della Repubblica Islamica Iraniana.
Dott. Florio, la sua prima impressione dell’Iran?
«Sono atterrato a Teheran all’alba, a inizio dicembre; da quanto ricordo, l’aeroporto non era messo molto bene, sembrava un modesto aeroporto regionale. Essendo praticamente il solo occidentale in arrivo ero un po’ in agitazione per i controlli. Invece non ho avuto nessun fastidio, né dagli agenti di sicurezza, né dai locali che già mi aspettavo cercassero di vendermi tour, servizi, e altro. Arrivato in centro in autobus, ho passeggiato sull’arteria stradale principale per raggiungere il punto dove avrei incontrato il mio ospite. Nulla però sembrava catturare la mia attenzione. Di prima mattina, forse anche perché in concomitanza con il periodo dell’Ashura (Periodo di digiuno che dura 2 giorni – ndr), la Capitale era deserta e spenta, con palazzine grigie e anonime in stile socialista anni ’70, che fiancheggiavano l’ampia carreggiata centrale. Giunto allo snodo di Valiasr, la mia destinazione, mi sono fermato a fare colazione al primo chiosco aperto. Incuriosito dalla mia presenza, il gestore si è avvicinato tentando di capire cosa stessi facendo. Di lì a poco mi ha telefonato il mio anfitrione, che in realtà non conoscevo, essendo parente di un’amica di un amico, la quale neppure avevo mai incontrato. Il ragazzo è arrivato dopo poco. Fatte le presentazioni, bevendo un frullato ha spiegato al barista la situazione. Poi, dopo aver pagato per entrambi, mi ha caricato in macchina, portandosi un illustre sconosciuto a casa, me. A partire da quel momento, la sensazione di grigiore è scomparsa. Ricordo di aver pensato: questa città, questo Paese, potranno anche non piacermi, ma la gente ce la metterà tutta a farmi cambiare idea.»
Le differenze che contraddistinguono il modo di vivere degli iraniani dal nostro?
«Naturalmente la differenza principale riguarda l’assetto sociale e politico. Essendo una repubblica teocratica si è soggetti alla giurisprudenza islamica, la famigerata shari’a. Censura e limitazioni della libertà di espressione, in particolare le manifestazioni artistiche e intellettuali e i generi musicali non tradizionali, sono all’ordine del giorno, e rendono la vita quotidiana degli iraniani molto lontana dalla nostra: la ‘devianza’ è sanzionata duramente. La Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei, è anche il capo dell’esercito, dunque qualunque espressione di dissenso politico può essere repressa tramite l’azione delle forze dell’ordine, come è successo durante le proteste del 2009. Questo vuol dire quindi osservanza della vita religiosa, pena la marginalizzazione sociale; rispetto delle istituzioni del Paese, pena l’esclusione dalla politica; e rigida osservanza della separazione tra i sessi, con sostanziali limitazioni della libertà delle donne. D’altro canto vi è libertà di culto e la pervasività della religione non è uniforme, in quanto l’Iran è molto grande e comprende parecchie regioni, con gruppi etnici diversi. A Teheran la coincidenza tra potere religioso e potere politico è evidente, mentre nella regione centrale è il clero ad avere enorme potere. A Mashhad, sede di un’importante santuario sciita, la fede e il fervore religioso sembrano davvero autentici, mentre nelle zone curde e azere il peso dell’Islam mi è sembrato meno rilevante. Nonostante questo, idealmente l’Iran è meno lontano di quanto si possa immaginare. Prima della rivoluzione islamica la borghesia iraniana ammirava Parigi e Roma, e spesso si formava in Europa. Gli iraniani poi non mancano di far notare come la cultura islamica si sia sovrapposta a quella persiana, verso la quale si nutre profondo rispetto; inoltre non sopportano di essere accomunati agli arabi, considerati retrogradi e oscurantisti. Anche oggi, nelle città più grandi come Teheran ed Esfahan, quando si chiudono le porte di casa la vita non è granché dissimile dalla nostra: si beve, si fuma, si ascolta musica, e si invitano le ragazze, che spesso si liberano di un velo indossato malvolentieri e che lascia già licenziosamente intravedere la frangia dei capelli: una deliberata provocazione al Basij, lo speciale corpo di vigilanza sul rispetto dei costumi.»
C’è crisi economica in Iran?
«Si, indubbiamente. Nel periodo in cui ci sono stato, a cavallo tra il 2012 e il 2013, l’Iran subiva in pieno gli effetti delle sanzioni internazionali. I prezzi erano ai minimi termini. I generi di prima necessità avevano prezzi irrisori, ma anche mangiare fuori costava pochissimo. Grazie all’abbondanza di petrolio pure i trasporti avevano costi ridicoli: con pochi euro si viaggiava per centinaia di chilometri in autobus. Anche i prodotti artigianali locali, spesso di ottima fattura, erano a buon mercato. Nella piazza centrale di Esfahan, zona chiaramente turistica, il prezzo di un tappeto persiano di medie dimensioni si aggirava intorno ai 60 euro. Sicuramente contrattando un po’ o con l’aiuto di una persona del luogo si sarebbe ottenuto un prezzo più basso, ma si parla di pezzi magnifici, lavorati a mano. Prodotti tecnologici a basso costo venivano importati presumibilmente dalla Cina. Mi hanno detto che le Istituzioni religiose distribuivano viveri alle persone indigenti, e immagino che lo Stato sostenga i ceti meno abbienti. Dunque un tenore di vita basso o molto basso era normale, ma non ho visto scene di miseria estrema. Niente mendicanti quindi, ma persone che si industriavano per portare a casa qualche soldo. Insomma sì, vi era crisi, ma gli iraniani, anche se visibilmente stanchi, reagivano in maniera piuttosto composta e tutto sommato ottimista. Nel complesso l’Iran, nel pieno dell’embargo internazionale, restava una potenza in ascesa nello scenario mediorientale; immagino quindi che dopo l’accordo sul nucleare le cose stiano migliorando.»
Molti dipingono l’Iran come uno Stato tiranno, che vuole a tutti i costi dotarsi dell’atomica. Cosa ne pensa il popolo iraniano delle accuse che vengono mosse dai media occidentali?
«Questa propaganda, assieme a embargo e sanzioni e a una situazione politica interna certamente asfittica, ha fatto sì che l’Iran ripiegasse su se stesso e si allontanasse ancor più dall’Occidente, approfondendo i legami con altri partner nel continente eurasiatico. La questione dell’atomica è un problema sensibile di politica regionale e internazionale: in particolare riguarda le relazioni dell’Iran con Israele, e quindi con gli Stati Uniti. Non sono argomenti di cui si può parlare facilmente con le persone del luogo, a meno di non incontrare qualcuno di veramente colto e aperto, e soprattutto che parli inglese, ma è chiaro che dalla loro prospettiva vi siano ragioni convincenti. Nello scenario mediorientale Israele è dotato di armi atomiche che, detto per inciso, possiede illegalmente e ha più volte minacciato di usarle contro l’Iran, anche a scopo preventivo. Dal canto suo l’Iran non riconosce lo stato sionista, e non c’è dubbio che i suoi servizi lavorino per minarne le fondamenta. Ma vi è una comunità storica di ebrei che vivono in Iran e vedono riconosciuti i propri diritti di minoranza e quindi la propria libertà di culto. Dunque vi è un conflitto aperto tra i due governi, ma parlare di antisemitismo è del tutto fuori luogo. Inoltre, in seguito all’accordo sul nucleare, mentre le tensioni con gli Stati Uniti si sono leggermente allentate, si sono invece acuite quelle con l’Arabia Saudita, uno Stato sicuramente più autoritario, bellicoso e integralista dell’Iran, nondimeno uno dei principali partner statunitensi nella regione.»
Ritornerebbe in Iran?
«Il viaggio in Iran è stato sicuramente uno dei più emozionanti della mia vita. Ho visitato luoghi incantevoli e molto diversi dal punto di vista naturale: montagne, boschi, deserti, oasi, laghi, fiumi, mare e isole. Dal punto di vista artistico e culturale invece l’Iran è praticamente un Eden. Siti preistorici e archeologici di valore inestimabile, città dalle caratteristiche uniche, moschee con decorazioni sublimi, bazaar antichi, palazzi sontuosi, caravanserragli sulla Via della Seta, santuari, giardini e fontane. Nel corso dei secoli l’Iran ha raggiunto un livello di raffinatezza e ricchezza culturale incredibile e tutto questo da solo giustificherebbe una visita. Ma ripeto, l’aspetto umano è ciò che ha reso questo viaggio veramente speciale. Gli iraniani sostengono che l’ospite è sacro e non posso che sottolinearlo: non conoscendo nessuno, ed essendomi mosso autonomamente, ovunque sia stato sono stato accolto con calore e generosità. Faccio qualche esempio: in un taxi collettivo i miei compagni di viaggio, per il semplice fatto di aver scambiato qualche parola con loro in persiano, hanno insistito per pagarmi la corsa. Un’altra volta, su una tratta di lunga percorrenza, il tassista mi ha invitato a pranzo. Un’altra volta ancora, il viaggio in autobus è finito prima del previsto, in piena notte: il ragazzo che mi sedeva accanto ha voluto portarmi a casa, mi ha lasciato dormire qualche ora e mi ha offerto la colazione, prima di riaccompagnarmi in centro. Anche per dormire durante il mio viaggio sono stato quasi sempre ospite di famiglie iraniane. Inizialmente avevo qualche remora ad accettare, e anche un po’ di preoccupazione. Poi, di fronte alle loro insistenze mi sono dovuto arrendere e l’agitazione è svanita molto presto. E’ un ‘altrove’, al tempo stesso molto vicino e molto lontano, ma senz’altro ci tornerei con estremo piacere.»