Istruzione. Report dal convegno “Sconfini dell’educazione”
NAPOLI – Domenica 15 ottobre si è concluso a Napoli il convegno internazionale “Sconfini dell’educazione”, presso l’Istituto “A. Casanova”, previsto dal progetto biennale di ricerca sulla pratica didattica nella scuola, promosso dal MIUR e realizzato dall’associazione Onuls Maestri di strada nelle città di Milano, Bologna, Palermo, Roma, Sciacca, Napoli e Castelfiorentino.
Iniziato giovedì 12 con un pomeriggio di presentazioni e interventi nelle scuole coinvolte, ha visto nei giorni seguenti un susseguirsi di esponenti istituzionali dibattere sul tema dei rapporti tra istituzioni e comunità educanti. Particolarmente illuminante, venerdì 13, la discussione su “arteducazione”, con l’intervento della Prof.ssa Maria D’Ambrosio, psicologa, docente del Suor Orsola Benincasa: ”Due parole chiave: sapere pedagogico, il codice genetico nel bambino non è sufficiente, ci vuole qualcosa di più, che vada oltre, in quelle realtà ai margini, nei giovani e bambini che vivono ai margini della legalità, nei ghetti, occorre essere accolti nel gruppo. L’arte è un processo di ricerca dell’uomo, che gli consente di essere più presente nel mondo. Sconfinare, paradossalmente vuol dire avere il coraggio di educare, di andare oltre i confini, chiedersi quando ci avviciniamo all’altro: che cosa gli serve? Di cosa ha bisogno? Sconfinare vuol dire spostarsi per far entrare qualcosa: se io sono aperto entra qualcosa, questo qualcosa serve sul piano della consapevolezza. Che cos’è il movimento? Farsi spazio nel mondo!”.
Sull’argomento abbiamo registrato la testimonianza del coordinatore dei laboratori sociali di Maestri di strada, Nicola Laieta.
Cosa si intende per sconfini dell’educazione?
«Innanzitutto sconfinare vuol dire rompere le limitazioni e le rigidità istituzionali, che fanno della scuola un dovere. Rendere i confini aperti alle possibilità, riorganizzare il sistema scolastico, i ragazzi vogliono essere ascoltati. Stamattina si parlava di come la scuola abbia troppi doveri, a Milano stanno facendo una sperimentazione: i ragazzi approfondiscono una materia per un certo periodo, tipo una settimana, fanno solo quella, anche prevedendo una parte pratica, laboratoriale.»
Come trasformare le ore scolastiche in gioia, eliminando il diffuso “mal di scuola”?
«Personalizzando i programmi educativi: i ragazzi vogliono essere considerati come soggetti, è necessario mostrare interesse per la loro vita, i loro sogni, il teatro come mezzo educativo può funzionare molto in quest’ottica.»
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