La casa, oltre che esigenza, è un diritto
NAPOLI – Diritto all’abitare. Fino a due anni fa non esisteva a Napoli un movimento del genere, oggi grazie ai centri sociali e a una rete di attivisti napoletani il percorso è una realtà organizzata con assemblee, riunioni, incontri, al fine di istituire nuovi gruppi di occupazione e dunque intercettare le esigenze di chi è in emergenza abitativa. E’ sufficiente lasciare un contatto agli sportelli informativi, attivi anche nelle università cittadine, a Porta di Massa, all’Orientale, per le necessità degli studenti. Tra gli attivisti c’è anche una rete di avvocati a tutela di chi decide di occupare.
Villa De Luca, a Capodimonte, è uno degli edifici abitati, lì 20 persone hanno trovato una casa, ripulendo e rimettendo in funzione uno spazio di gran valore storico, abbandonato da anni. Siamo entrati per incontrare gli attivisti della campagna “Magnammece o’pesone”, hanno risposto alle nostre domande preferendo restare nell’anonimato.
Perché “Magnammece o’pesone”?
«Significa ‘mangiamoci’ l’affitto. E’ un’esperienza di autorganizzazione, una comunità di abitanti che circa due anni fa ha iniziato a praticare un’azione diretta a scopo abitativo nella città di Napoli.»
Cosa vi ha spinto a occupare?
«Ci siamo mossi dopo aver ‘assaggiato’ le nuove ricette del neoliberismo europeo e dell’austerità riguardo la dismissione del patrimonio pubblico. All’inizio eravamo organizzati per denunciare le grandi dismissioni immobiliari, le speculazioni, come per esempio il Palazzo dell’Archivio a Piazza Dante, messo all’asta dal Comune di Napoli solo per fare cassa (Il loro intervento, insieme alla II Municipalità di Napoli e i comitati cittadini, ha bloccato la messa all’asta – ndr).»
Dunque prima che lo Stato speculi, svendendo il patrimonio immobiliare pubblico, voi lo occupate soddisfacendo una vostra esigenza abitativa?
«Certo, restituiamo alla comunità ciò che invece andrebbe ad arricchire le tasche di poche persone legate al potere politico ed economico. Ci organizziamo, ci autodeterminiamo nello spazio metropolitano. Io, ma è opinione largamente condivisa, sicuramente non staremo a guardare mentre si mangiano le città e distruggono la vita delle persone attraverso la speculazione edilizia.»
Il diritto all’abitare, alla felicità, così scrivete sui vostri volantini, ma le Istituzioni?
«E’ infantile pensare che le Istituzioni, a qualsiasi livello, possano offrire qualche soluzione riguardo la dignità di cui parliamo, perché i problemi li hanno creati loro. Dietro loro c’è il capitale.»
Vi definite un coordinamento autonomo e orizzontale, composto da persone che hanno una necessità abitativa. Ma come si arriva al passo dell’occupazione?
«Precisamente siamo un nucleo autorganizzato orizzontale che si autodetermina attraverso i tradizionali strumenti assembleari, nei quali si discute fino al consenso per prendere una determinata decisione: il tipo di stabile da occupare; la progettazione e la ristrutturazione relativa all’autorecupero dell’edificio, visto che la maggior parte delle volte entriamo in palazzi devastati dall’abbandono; ma tengo a precisare che c’è anche un aspetto politico dell’occupazione, ed è l’attacco alle classi speculative in Europa.»
Quindi paradossalmente il vostro intervento tende anche a rivalutare l’immobile, visto che lo restaurate con le vostre forze, eppure l’occupazione porta anche delle conseguenze legali, ne siete consapevoli?
«Certo. Ma chi si aggrega al nostro percorso parte dalla consapevolezza che riprendersi i diritti non è una ‘pratica’ legale, per non parlare dei casi dove la necessità abitativa è così estrema che l’aspetto legalità finisce in secondo piano. Sconvolge però il fatto che ‘l’occupazione’ a fini speculativi finanziari sia difesa dal diritto privato e pubblico di tutti gli Stati europei, mentre l’occupazione finalizzata al benessere dei cittadini comporta potenzialmente denunce con pene fino a 14 anni di detenzione. Dunque lo Stato da che parte sta? Noi proponiamo di non attendere, di non delegare al potere costituito ciò che è in nostro diritto.»