Libertà. Colpo di coda di Obama: approvate nuove pene preventive
WASHINGTON – Colpo di coda in stile regime, quello del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, che prima di andar via dalla Casa Bianca ha ratificato in data 24 dicembre un pacchetto legislativo inerente le spese per il mantenimento dell’armamentario militare del paese: tra le tante normative è prevista l’imposizione di restrizioni delle libertà personali a carico di qualsiasi individuo non identificato che venga ritenuto coinvolto da Washington in tentativi di corruzione o di violazione dei diritti umani.
Stando alla clausola 1264 del documento appena approvato, il presidente degli Stati Uniti potrebbe avallare, in caso di necessità, l’attivazione di speciali provvedimenti disciplinari nei confronti di chiunque sia semplicemente sospettato e dunque accusato di “esecuzioni extragiudiziali, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani internazionalmente riconosciuti”. Stessa sorte verrebbe altresi riservata per chi viene indagato per corruzione o appropriazione indebita. Le pene previste dalla normativa comprendono il congelamento dei beni e l’impossibilità di ottenere visti e permessi per viaggi all’estero e soggiorni.
La normativa ratificata da Obama sarà in vigore per i prossimi sei mesi. Tuttavia, le pene previste in caso di accertata violazione, e imposte dal regolamento, non hanno limiti di tempo e possono essere revocate solo da una decisione del futuro presidente degli Stati Uniti.
La nuova legge, a quest’oggi, estende la cosiddetta legge Magnitsky, approvata dal Congresso degli Stati Uniti, firmata dallo stesso presidente Barack Obama nel 2012. La legge implicava inizialmente vincoli finanziari e di ingresso nei confronti di 18 funzionari russi che, stando all’accusa americana, si erano resi responsabili della morte di Sergei Magnitsky, consigliere del fondo di investimento britannico Hermitage Capital, avvenuta nel 2009 in una prigione russa, in circostanze misteriose.
Numerose sono state le critiche mosse dai politologi internazionali nei confronti di tali provvedimenti di politica interna, critiche che, come quella di Dmitri Drobnitski, denunciano il carattere non costituzionale della normativa, che permetterebbe di aggirare l’approvazione del Congresso e la normale discussione del caso in un regolare iter giudiziario.