Libri. Andrea Iacomini e l’impegno per i bambini siriani

 

 

NAPOLI – Martedì 11 aprile, presso la libreria Raffaello di Napoli, ha avuto luogo un incontro con il portavoce italiano dell’Unicef Andrea Iacomini, che ha presentato il suo libro intitolato “Il giorno dopo”, edizione Ponte Sisto. Il romanzo, in parte autobiografico, racconta la storia di Enrico, l’alterego dell’autore, un ragazzo che vive la sua adolescenza per poi maturare interiormente abbracciando l’impegno umanitario, e cominciando a viaggiare per il mondo. I suoi viaggi portano il protagonista a interfacciarsi con la fame e la povertà dei paesi che vivono la guerra, a vivere il dramma dei profughi siriani e tutte le difficoltà che si incontrano nel voler aiutare queste persone, ma impara che, nonostante tutto, c’è sempre un “giorno dopo” in cui sperare.

Andrea Iacomini non si è limitato a parlare del suo libro, presente come relatore Andrea Bonetti, ma ha approfondito la discussione sul tema dell’emergenza umanitaria in Siria e sulle condizioni in cui sono costretti a vivere i bambini siriani. Uno degli argomenti su cui si è discusso più a lungo riguarda la mancata diffusione delle notizie sulla guerra in Siria sui quotidiani e sui telegiornali italiani. Quella in Siria è una guerra che imperversa da sei anni, ma non se ne è parlato fino all’entrata in scena dell’Isis. Quando l’Isis fa la sua comparsa sulla scena europea, cambia quindi la percezione del conflitto in Siria. Ma della minaccia di questa cellula terroristica di matrice islamica fondamentalista l’Unicef aveva già parlato, avvisando l’Europa del possibile pericolo e su quanto stava già accadendo in Siria, ma gli appelli sono rimasti inascoltati. Al riguardo abbiamo rivolto le nostre domande all’autore.

Iacomini quali sono i numeri dell’emergenza umanitaria in Siria?

«In Siria abbiamo toccato il fondo. Il 2016 è stato l’anno peggiore dal punto di vista umanitario: abbiamo registrato la morte di 1000 bambini, 800 sono stati mutilati, 900 arruolati come soldati. Ma queste sono cifre parziali, in realtà le cifre di questo conflitto sono impressionanti. Per dare la misura di come l’escalation sia sconvolgente ed enorme e di come questo conflitto ormai non abbia confini, basti pensare che nel 2012 c’erano 500mila bambini che necessitavano di aiuti umanitari; dopo sei anni di conflitto sono circa 6 milioni. Fino a oggi l’Unicef ha aiutato circa 3 milioni di siriani, fornendo kit salvavita, vaccinazioni, kit igienico-sanitari e acqua potabile. Ci sono città come Aleppo, Idlib, Hama, in cui siamo riusciti a portare gli aiuti, ma purtroppo ci sono alcune zone che non possiamo raggiungere. Il panorama complessivo vede un paese assolutamente distrutto, con milioni di persone che soffrono, e con città ancora sotto assedio. Ecco perché noi facciamo continui appelli alla comunità internazionale, affinché si trovi una soluzione politica, che porti sul tavolo delle trattative internazionali tutte le forze e le fazioni interessate, per mettere fine a questo ignobile conflitto. Ma è complesso.»

Il popolo siriano emigra a causa della guerra. Qual è l’entità di questa migrazione?

«Ci sono 5 milioni e mezzo di siriani che vivono nei paesi limitrofi: sono giunti 600mila siriani in Giordania, 1 milione e mezzo in Libano, 2 milioni e mezzo in Turchia e 600mila in Iraq, e altri continuano la loro migrazione verso l’Europa. Noi li accogliamo nei campi profughi che abbiamo allestito insieme alle altre agenzie delle Nazioni Unite, dove diamo loro la miglior accoglienza possibile. Forniamo tende, containers e chi può permetterselo paga l’affitto di una casa, ma sono veramente in pochi.»

Nei paesi confinanti i siriani si sono integrati o vivono ai margini?

«Sono perfettamente integrati. A esempio, sono stati sviluppati programmi di integrazione fra i bambini siriani e quelli autoctoni per fare in modo che i bambini siriani non perdano anni di scuola. La guerra ha prodotto 2 milioni di bambini fuori l’obbligo scolastico, anche se non hanno terminato la loro formazione. In Siria l’87% delle scuole sono state distrutte e quelle restanti vengono utilizzate come rifugio o come zone di appoggio dalle parti in conflitto. Nessuno dei siriani vive ai margini della società e sono piuttosto integrati nei paesi che li accolgono.»

Cosa pensa dei centri di accoglienza italiani e sul metodo di integrazione dei migranti?

«I siriani non si fermano in Italia perché puntano al nord Europa, dove c’è una comunità ben radicata e strutturata. Il problema principale dell’Italia riguarda la gestione dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti. Gestire l’accoglienza vuol dire rispettare queste persone e il loro paese di provenienza, ma anche far comprendere quali siano le nostre leggi e le nostre regole e fare in modo che queste vengano rispettate. L’Italia ha un’accoglienza che funziona a macchia e deve sicuramente investire di più sul tema dell’inclusione sociale, per non fare dei migranti delle persone ai margini della società.»

Come reagiscono i ragazzi italiani che incontra nelle scuole, quando racconta l’emergenza umanitaria che vivono i bambini siriani?

«Questi ragazzi sono la nostra speranza. Ogni volta che li incontro mi accorgo che hanno un’attenzione particolare. All’inizio sembrano distratti, ma quando cominciano a entrare nel vivo di queste vicende mostrano una carica e una voglia di fare che è stupefacente. Questo lascia ben sperare per il futuro.»

By Ilaria D’Alessandro

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