Libri. Batà e il viaggio nella cultura afrocubana
NAPOLI – Pubblicato domenica 20 gennaio il I volume del “Diario di un Omo Aña”, di Paolo Bianconcini: prima tappa di un viaggio alla scoperta del tamburo Batà e dell’esperienza dello stesso Bianconcini nella conoscenza di questo strumento e della sua tradizione.
Paolo Bianconcini, per tutti Batà. è un percussionista, compositore, insegnante al Batalab, presso il centro studi Voce & Dintorni. A 15 anni l’incontro con Giovanni Imparato lo fa avvicinare alla cultura cubana e, dal 2001, anno del suo primo viaggio in quella che diventerà poi la sua amata Cuba, circa ogni anno ritorna ad attraversare le strade di un paese che, afferma: “come energia, paesaggio, ma anche modo di vivere la vita è molto simile a Napoli”. Più di vent’anni di esperienza musicale e non raccolti nel “Diario di un Omo Aña”, libro in diversi volumi dedicato al Batà e alla Santeria Cubana.
Per l’occasione, abbiamo intervistato l’autore.
Cos’è Batà Ngoma?
«È un progetto nato nel 2012 dalla necessità di dare forma a idee, desideri e progetti musicali che avevo in mente. È nato dopo tanti anni di esperienza come tournista con altri musicisti e ho trovato sei pazzi che stanno con me in quest’avventura. Mischiamo un po’ le nostre influenze tra il reggae, il soul e la base afro-cubana. È un progetto a cui tengo tanto.»
Cosa significa?
«Batà è il nome dei tamburi liturgici afrocubani ed è il nome che mi fu dato da Enzo Avitabile nel 2000, quando ero con lui nella tournée “ ‘O munno se move”, suonando appunto i tamburi Batà. Sono ‘malato’ di questi tamburi, è una passione fortissima. “Ngoma” invece si rifà al mio retaggio di quando presi la laurea all’Orientale, in lingue africane, e studiavo Swahili, perché appunto “Ngoma” in Swahili significa tamburo. Quindi i due nomi sono una ridondanza di questo tamburo.»
Com’è nato “Diario di un Omo Aña”?
«È nato dalla necessità di scrivere e organizzare un po’ le cose. Per anni non ho voluto pubblicare nulla, sia perché c’è gente molto più esperta di me al riguardo, ma soprattutto perché sono argomenti che toccano la religione, per cui scriverne potrebbe essere visto anche in maniera negativa. A un certo punto però ho sentito la volontà di dare un punto di vista che non desse alcuna verità assoluta, ma raccontasse la mia esperienza, che penso possa essere utile agli altri. L’Omo Aña è l’uomo che giura le sue mani ad Aña, una divinità che vive nel tamburo, e quindi ha le mani consacrate per poter suonare in alcune cerimonie della Santeria Cubana. Io sono Omo Aña dal 2007. Ci tengo a dire, ed è espresso molto chiaramente nel libro, che appunto è la fotografia di un momento, ma cambierà e si evolverà. A questo libro volevo associare dei file audio, poi Danilo Arcopinto e Fabrizia Piselli, due miei amici che fanno parte di Phantasya (laboratorio sperimentale di nuove forme di comunicazione – ndr) e 56K (società di produzione cinematografica – ndr), mi hanno dato l’idea di realizzare un’app: BATAPP»
Come funziona la BATAPP?
«Al momento ci sono 38 tracce, poi ogni volta che uscirà un volume ne aggiungeremo delle altre. In questo primo volume ci sono 38 file, i 38 toque specifici, ovvero i ritmi per canti specifici. Attraverso un mixer presente nell’app è possibile scegliere su quale traccia concentrarsi. L’app è facilissima da usare, e poiché il mondo del Batà è spesso orale e molta gente non sa scrivere o leggere, può essere utile anche per chi ha questa mancanza. Anche il libro è scritto in maniera chiara, per cui anche un musicista non percussionista può divertirsi, fermo restando che il Batà vada studiato, praticato e vissuto, perché non si può imparare con un libro.»
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