Libri. La nuova opera di Giancaspro è una fiaba, ma non troppo
NAPOLI – Martedì 1° marzo alle ore 18:00, nella Sala Di Stefano presso il PAN in Via dei Mille 60, il Palazzo delle Arti di Napoli, si terrà la presentazione della nuova opera letteraria di Mauro Giancaspro. All’incontro, moderato dalla giornalista Valeria Grasso, interverranno l’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Nino Daniele; lo storico Ciro Raia e lo scrittore Michele Serio. Sarà presente anche l’artista Antonio Nocera, autore del dipinto realizzato per la copertina del libro “Il vecchio che parlava alle piante”, pubblicato dall’editore Alessandro Polidoro.
“Il vecchio che parlava alle piante” é una fiaba, “ma non troppo”. La narrazione si svolge nell’antica abbazia di Massombrosa, che il Ministero vuole trasformare in un complesso turistico. Lì un vecchio speziale, padre Gregorio, custodisce uno stravagante segreto. Ma per saperne di più, in attesa della presentazione al PAN del 1° marzo, abbiamo contattato l’autore del libro, che ci ha concesso un’interessante intervista.
Professore Giancaspro, come nasce “Il vecchio che parlava alle piante”?
«L’idea di scivere un libro è nata dai miei rapporti con Aboca (Azienda che produce prodotti a base di erbe – ndr), che non produce solo prodotti erboristici ma ha anche una casa editrice e fa copie facsimilari di antichi manoscritti. Un po’ di tempo fa fecero la copia facsimilare dell’erbario greco di Dioscoride (Medico, botanico e farmacista greco antico – ndr), il “De materia medica” che abbiamo nella Biblioteca Nazionale; il “Dioscurides Neapolitanus”, l’erbario greco pergamenaceo del VI secolo d.C. Poi Aboca l’ha presentato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, al Palazzo degli Studi Filosofici, ma anche all’Università della Calabria e a Torino. Io sono andato con loro a presentare questo libro e da allora è nata questa amicizia. Poi a Sansepolcro c’è il Museo delle Erbe, che è un luogo straordinario, e c’è un seccatoio per le erbe che sono messe a essiccare e pendono dal soffitto, non si vedono le capriate perché ci sono queste erbe che cadono. Allora, in questo posto molto suggestivo dove si sente il profumo e si vedono i colori dell’autunno, mi hanno dato l’idea di questo racconto che è diventato poi un romanzo breve e che è anche una fiaba, ma non troppo.»
Dunque qual è il tema del libro?
«E’ una fiaba, un racconto di fantasia, un po’ fiabesco, ma c’è anche la modernità. Il fiabesco è un genere che mi appassiona, c’è sempre qualcosa di truce. Ci sono due ipotesi di finale, il lettore sceglie. Nel libro c’è anche il gusto del ricordo. Il ricordare gli oggetti del passato. Si parla anche di un giradischi che invece era un grammofono. Nel libro c’è un legame particolare con la musica, la fantasia. Mi è venuto così, perché questo libro doveva essere un articolo fatto per Aboca, e da lì è nata l’idea»
Uno segreto stravagante. Uno speziale che parla alle piante. C’è qualche riferimento autobiografico?
«C’è un segreto che non le posso rivelare. Ma quando uno scrive, qualcosa di sé lo mette sempre. Poi ci sono vari personaggi da scoprire, forse in qualcuno c’è qualcosa di me, perché anche se scrivi un saggio di biblioteconomia (Disciplina che studia i sistemi di classificazione e catalogazione delle opere raccolte nelle biblioteche – ndr), che è noioso, c’è qualcosa di te»
Nel suo libro l’abbazia di Massombrosa rischia di diventare un complesso turistico. E’ una denuncia contro l’indifferenza verso il nostro patrimonio artistico e culturale?
«Oggi c’è molto l’idea di trasformare i musei, i siti culturali, i siti archeologici in posti dove ci sono le caffetterie, i ristoranti, i bookshop, luoghi dove si vende. L’idea è che da un bene culturale ci possa essere guadagno di soldi. Io non credo che debba essere questa la finalità. Al riguardo io cito spesso una poesia di Charles Bukowsky, un poeta maledetto, che quando a 16 anni frequentava la Biblioteca Pubblica di Los Angeles, scrive che era una casa per chiunque ne avesse bisogno. Una casa per tutti ‘noi’ vagabondi: “Grazie a questa biblioteca ho evitato di diventare un suicida, uno scassinatore di banche, un picchiatore di moglie, era l’unico punto di riferimento di noi giovani che cercavamo tanto e non riuscivamo a trovare niente”. Allora, tornando alla sua domanda, la biblioteca ha avuto una funzione educativa e gli ha evitato il peggio. Sembra banale dire questo, ma quando tu spendi in cultura significa anche che mangi meglio, ci curiamo di più. Stai meglio fisicamente e mentalmente. Io non credo che questa corsa al trasformare un bene culturale in un cespo di guadagno sia un bene. Altra cosa è invece l’indotto. Ma io sono convinto che un luogo di cultura debba puntare ad altro e non al guadagno. Ci sono degli obiettivi in questo che io non condivido»
Come attende l’evento del 1° marzo?
«Emozionato. Alla fine della presentazione vorrei lasciare il mio indirizzo di posta elettronica ai lettori, così mi dite se vi è piaciuto il libro. Vorrei un feedback immediato».