Libri. Presentato a Napoli “La cella zero. Morte e rinascita di un uomo in gabbia”
NAPOLI – Giovedì 20 settembre alle ore 18:30, presso “La Tiendaequosolidale” al Vomero, ha avuto luogo la presentazione del libro “La cella zero – morte e rinascita di un uomo in gabbia”; i cittadini intervenuti hanno ascoltato le parole di Pietro Ioia, l’autore del libro in cui racconta il proprio ‘viaggio’ e denuncia gli abusi e le violenze che i detenuti hanno subito durante lo stato di detenzione, soffermandosi in particolare sulla Cella Zero del carcere di Poggioreale.
Un luogo di torture, di abusi di potere e soprusi, un luogo di diritti sospesi; questa è la denuncia di Pietro Ioia nel libro “La cella zero – morte e rinascita di un uomo in gabbia”, Marotta&Cafiero editori, un libro in cui l’autore, ex detenuto che ha scontato 22 anni di carcere, attraverso la propria esperienza racconta il sistema carcerario italiano e in particolare la situazione di Poggioreale.
I diritti essenziali violati sarebbero stati vari, come l’accesso alle cure mediche per citarne uno, ma il libro è un viaggio attraverso i vari padiglioni fino ad arrivare al luogo più oscuro, la cella zero: una stanza spoglia dall’arredamento essenziale, con sbarre e pareti spesso sporche di sangue, “un sistema”, afferma l’autore, in cui i detenuti ed egli stesso ha ricevuto soprusi e violenza di ogni tipo per motivi futili. La denuncia di Pietro Ioia, e successivamente di altri detenuti, il clamore mediatico che ne è derivato e le inchieste aperte, hanno portato a un processo, in corso, per fatti contestati risalenti al 2013-2014 con 12 imputati, sebbene inizialmente gli indagati fossero 23, nello specifico 22 agenti e un medico.
Dopo aver parlato ai presenti del libro, tradotto anche in spagnolo e pronto per essere venduto in Messico, e da cui forse verrà tratto anche un film, l’autore ha raccontato la propria esperienza una volta uscito dal carcere. Pietro Ioia infatti è attivista e presidente dell’EX D.O.N. (Ex detenuti organizzati napoletani – ndr), un’associazione che sottolinea l’urgenza e l’importanza del lavoro per chi, una volta uscito dal carcere, pur candidandosi alle offerte di lavoro, si vede sbattere in faccia ogni porta e vede preclusa ogni strada, ogni possibilità di ricominciare. Data la situazione e la necessità, ha spiegato l’autore, spesso chi vorrebbe cambiare vita, senza appigli e con la fedina penale sporca, finisce per commettere gli stessi errori e i medesimi reati.
“Occorrono fondi e politici che portino avanti dei progetti”, ha spiegato Pietro Ioia, ricordando con gioia ai presenti di quando, qualche anno fa, fu parte di in un progetto della Regione Campania che coinvolgeva gli ex detenuti nell’attività di operatori turistici.
Durante la presentazione l’autore ha anche colto l’opportunità di spiegare una realtà che spesso in tanti ignorano: ha infatti invitato Daniela Morante a raccontare la propria esperienza da coordinatrice dello “Spazio Giallo”, un percorso di accoglienza creato dall’associazione “Bambinisenzasbarre” per preparare i bambini e favorire l’incontro con il genitore detenuto, attenuandone l’impatto traumatico.
Infine, parola a Carmine Uccello, presidente dell’associazione “Carcere VI.VO.” (Gruppi di volontario Vincenziano); una realtà che da anni, mediante l’operato dei volontari, è impegnata nel reinserimento e nel recupero di detenuti e tossicodipendenti con visite nelle carceri e alle famiglie con visite domiciliari, per citare alcune attività.
Al termine della presentazione abbiamo avvicinato l’autore Pietro Ioia, per rivolgergli le nostre domande.
Da quanto tempo si batte per i diritti dei detenuti?
«Io sono un attivista per i diritti dei detenuti da 15 anni, ho denunciato la cella zero nel 2014, sono stato due volte in quella cella e sono stato tra i primi attivisti a entrare nelle carceri, a fare le visite ispettive ad altri detenuti. Dopo un po’ mi hanno bloccato, non andavo nei luoghi indicati, ma ne sceglievo altri, dove magari ero stato anni addietro. Sono contro ogni forma di violenza nei confronti dei detenuti, io stesso ne ho subite; sono un punto di riferimento dei familiari dei detenuti, visitando le carceri ho visto lo squallore della condizione sanitaria, ho visto detenuti con patalogie gravi abbandonati sui letti. Per una visita ospedaliera trascorrono mesi. Sono bombardato di lettere dove non mi si chiede di uscire dal carcere, lettere in cui chiedono di essere curati.»
La gravità della situazione da lei riscontrata è a livello nazionale?
«La situazione è nazionale, ma al Sud un po’ più grave; a Poggioreale abbiamo 2.300 detenuti per una capienza di 1.600, dunque nel carcere ci sono 600/700 detenuti in più, credo sia una situazione fuori dal normale. Quest’estate a Poggioreale ci sono state tre morti per suicidio in 20 giorni, e poi risse e condizioni sanitarie precarie.»
Ci parla dell’associazione?
«Come associazione ci battiamo contro la violenza del recluso; abbiamo rapporti d’amicizia con i commercianti e se un ex detenuto vuol lavorare possiamo provare a trovargli lavoro, ma sono casi molto rari. Il reinserimento è fondamentale, se chi è uscito dal carcere non ha possibile di lavorare può accadere che torni a commettere gli stessi errori. Questo è ciò che cerco di far comprendere.»
Cosa non funziona dal suo punto di vista?
«Non ci sono politici coraggiosi o una volontà politica tale da fare un progetto per gli ex detenuti. Non vogliono farlo, perché si potrebbe fare, penso ai fondi Europei. In Toscana ad esempio progetti simili si fanno.»
Sul libro?
«Il libro è stato tradotto in spagnolo e verrà venduto in Messico; mi sta dando grandi soddisfazioni, siamo alla terza ristampa. Nel libro racconto di me, della mia infanzia e dei 22 anni di carcere, dei mie errori; tratta molto delle violenze, perché ho raccontato appunto delle violenze che ho visto, che ho subito in prima persona, e di quelle che ho raccolto dagli altri una volta uscito, incontrando altri ex detenuti. Ho raccolto l’esperienze di tutti coloro che sono passati per la cella zero. Io non sono uno scrittore, mi è bastato scrivere la verità; ho ricordato tutte le immagini, anche quelle più atroci.»
È importante parlare del carcere?
«Del carcere si deve parlare perché riguarda tutti; altrimenti si diventa complice. Ho assistito nei giorni scorsi alla proiezione del film su Stefano Cucchi (Sulla mia pelle – ndr) in seguito all’invito dell’Università Federico II – Dipartimento di scienze umanistiche – facoltà di lettere e filosofia; ho fatto un intervento in quell’occasione e ho notato l’interesse dei partecipanti. Ho la sensazione che la coscienza delle persone si stia scuotendo. Di carcere si deve parlare, non dobbiamo tacere.».
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