Libri. Recensione “Da Giùnapoli al Vomero” di Mauro Giancaspro
NAPOLI – Mauro Giancaspro, autore di libri di successo tra cui “Il vecchio che parlava alle piante”, “E l’ottavo giorno creò il libro”, “Leggere nuoce gravemente alla salute”, ha pubblicato a maggio “Da Giùnapoli al Vomero” con l’editore napoletano Alessandro Polidoro, opera di 133 pagine inserita nella collana “Alto Parallelo”.
“Da Giùnapoli al Vomero” racconta il trasloco della famiglia Giancaspro da Giùnapoli ai quartieri del Vomero vecchio, evento che negli anni della Napoli post bellica rappresentava un vero e proprio rito di passaggio. Il Vomero di allora non è come lo conosciamo oggi: le strade sono cambiate, i negozi hanno cambiato gestione o sono stati chiusi, i luoghi del divertimento non sono più gli stessi. Abitare al Vomero significava andare a vivere fuori città, perché allora Napoli era il centro storico, con tutte le sue vie principali.
Giancaspro nello pagine di questo libro apre lo “scrigno di Pandora” dei ricordi e tutta l’opera è pervasa da una dolce nostalgia per ciò che era e che non è più. Ogni ricordo raccontato sembra quasi una scenetta d’autore, come la descrizione di Mauro bambino che, insieme ai ragazzi delle altre 52 famiglie residenti, gioca con il pallone nel cortile del condominio “Post Bellum Resurgo”, palla che viene sistematicamente sequestrata dal portinaio; o l’autore ragazzino, che a scuola viene messo in punizione a causa di un misfatto mai compiuto, ma per il quale mai ha tentato di provare la sua innocenza. Proprio quel bambino, diventato adolescente, racconta i cambiamenti cui va incontro, i luoghi dell’amore e le canzoni che facevano ballare i giovani di allora.
Il romanzo, fortemente autobiografico, è il racconto della vita da bambino e dell’adolescenza, e non sarebbe stato completo senza ricordare i genitori: della madre, con un pizzico di ironia, ricorda le sue lamentele perché costretta a percorrere la ripidissima calata San Francesco per qualsiasi commissione dovesse fare; e la tardiva, ma necessaria, conquista della patente e l’acquisto della Fiat 600 color sabbia. Del padre invece, uomo colto e intelligente, l’autore ricorda l’abilità da stratega nell’organizzare il trasloco; i pomeriggi passati a chiacchierare con il giornalaio davanti l’edicola, e con il signor Palumbo, un uomo che il padre “stimava moltissimo, ma col quale litigava ferocemente su tutto, perché diceva che era intelligente e faticatore, ma chissà perché, comunista”.
Nel ricordo dell’infanzia si legge la realtà condominiale e del quartiere del Vomero vecchio, paragonata a un microcosmo, una realtà a sé stante che ha quasi la dimensione del villaggio e della comunità, dove tutti si conoscono. Giancaspro nel testo fornisce anche un attento esame della società della Napoli post bellica, raccontando di avvenimenti di natura sociale come lo sciopero dei mezzi pubblici che impedì a lui, sua sorella e la madre di raggiungere la spiaggia. Evento che ricorda così: “un giorno un po’ triste per gli adulti, che perdevano un po’ di democrazia, e per noi ragazzini, che perdevamo un po’ di mare”.
Nel libro di Giancaspro un flusso di pensieri, che in inglese viene definito “stream of consciousness”, cioè un flusso di coscienza a cui l’autore si abbandona, e in cui il lettore si può immergere. Il romanzo quindi potrebbe esser definito uno “Zibaldone di pensieri”, per l’eterogeneità dei contenuti e l’ampiezza dei temi trattati, ma al contrario dello Zibaldone leopardiano, l’eterogeneità è strutturata in modo temporale e lineare, senza mai perdere il filo del discorso, cosa che rende la lettura chiara e scorrevole, impendendo così al lettore di arenarsi.
Il libro ha una sintassi semplice e una narrativa scorrevole. È pervaso da un’ironia che non perde mai tono, senza però mai scadere nell’utilizzo dei luoghi comuni legati alla napoletaneità. Il pregio della penna di Giancaspro è il raccontare i fatti, i ricordi e le memorie con precisione e accuratezza storica, con leggerezza, senza però perderne in cultura.
“Da Giùnapoli al Vomero” è scritto da un adulto, ma con gli occhi di un bambino, ed è proprio in questo elemento che troviamo la freschezza, la leggerezza e il lirismo del romanzo.
By Ilaria D’Alessandro