Napoli. Il documentario “Gli occhi più azzurri – una storia di popolo”
NAPOLI – Venerdì 12 gennaio alle ore 19:00, presso “la casa del popolo” di Piazza Dante 52, ha avuto luogo la proiezione del documentario “Gli occhi più azzurri – una storia di popolo”, opera di Simona Cappiello, insegnante, scrittrice ed esperta di produzioni video; e di Manolo Turri dall’Orto, regista e montatore. L’opera, che approfondisce l’accoglienza al nord Italia di circa 70mila bambini del Sud nel secondo Dopoguerra, verrà diffusa nelle scuole come strumento di “edutainment”: produzione di strumenti educativi e di intrattenimento.
E’ una pagina storica sconosciuta ai più, un esempio di unione e collaborazione che arricchisce la nostra storia recente: nel Dopoguerra, tra la fine del 1946 e l’inizio del ‘47 e fino al 1952, circa 70mila bambini del Sud Italia, di cui 12mila napoletani, furono ospitati dai 3 ai 6 mesi, in alcuni casi per periodi di tempo più lunghi, presso alcune famiglie del Centro-Nord Italia.
Il Sud era in ginocchio, vessato dalla povertà, dai bombardamenti e dalle rovine lasciate dalla guerra. Condizioni di analfabetismo, miseria e fame diffusa, unite alle malattie e allo scarso igiene, rendevano le città e i paesi luoghi difficili da vivere per i bambini. Il momento della ricostruzione era all’epoca ancora lontano. La nascita dei “Comitati per la salvezza dei bambini”, coordinati dal Partito Comunista, in sinergia con il lavoro svolto dalle donne entrate attivamente in politica con l’UDI, Unione Donne Italiane, rappresentò un esempio di sostegno spontaneo e fu il simbolo di uno sforzo comune che unì Nord e Sud con l’obiettivo di proteggere i bambini, “i figli di tutti”.
Dopo i saluti iniziali, il pubblico ha assistito alla proiezione del documentario, un viaggio fisico iniziato alla stazione centrale di Napoli, direzione il Nord, attraverso gli occhi di una giovane donna che segue le tracce lasciate dalla nonna; un viaggio però anche simbolico, compiuto grazie a foto, lettere e filmati d’epoca, che ripercorre quell’epoca e svela il significato di quell’esperienza che fu “il treno di bambini”.
L’opera, della durata di 46 minuti, è prodotta dalla Fondazione Gerardo Chiaromonte/ParteUtile, La città del sole edizioni, e contiene numerose testimonianze dei bambini di allora e di chi contribuì alla realizzazione del progetto. Tra gli altri, l’ex sindaco di Napoli, il Senatore Maurizio Valenzi; la Senatrice Luciana Viviani; il regista Carlo Lizzani; l’attivista dell’UDI Lina Porcaro.
Al termine della visione, Simona Cappiello ha spiegato ai presenti che il progetto è nato grazie a una raccolta fondi e che al documentario è allegato un libro contenente materiali di approfondimento, interviste inedite e documenti di repertorio provenienti da diversi archivi storici italiani. L’obiettivo, ha continuato la Cappiello, è “portare il lavoro nelle scuole, farlo conoscere ai giovani fornendo uno strumento edutainment e permettendo a quest’ultimi il recupero della nostra memoria storica, per leggere meglio il presente.”.
Al riguardo abbiamo intervistato Simona Cappiello, autrice del documentario.
Come nasce il documentario?
«Non conoscevo questa storia; l’interesse è nato dopo aver scoperto, alcuni anni fa, che un’amica di famiglia, una delle protagoniste del documentario, aveva vissuto questa esperienza: dal ’46 al ’52 il Partito Comunista e l’UDI crearono dei comitati per portare per alcuni mesi i bambini del Sud in città, o meglio paesi in campagna, che non avevano subito bombardamenti. Una sorta di azione di politica sociale nata però dal basso. Mi sono appassionata e l’ho prodotto con l’aiuto di diversi professionisti napoletani e milanesi. Dopo un po’ ho trovato l’editore, La città del sole; il lavoro si è sviluppato con un crowdfunding su “produzionidalbasso”, poi andrà su “distribuzionidalbasso”, quindi avrà un canale anche online. Lo stiamo proponendo alle scuole, come già fatto in passato in un liceo di Napoli e di Reggiolo, uno dei luoghi in cui portavano i bambini.»
Perché nelle scuole?
«Innanzitutto perché è una pagina della nostra memoria storica poco conosciuta e molto significativa per quanto riguarda l’organizzazione dal basso di politiche utili ad affrontare realmente le problematiche, e simboleggia anche il modo napoletano di affrontare le situazioni e la gestione dei beni comuni; in secondo luogo questa è una storia edificante che ha un senso di unione rispetto al tema Nord-Sud. Un grande senso di solidarietà, unione e collaborazione.»
Gli aspetti più interessanti del documentario?
«Oltre alla memoria storica, all’organizzazione dal basso e alla collaborazione, per me è il concetto di viaggio che apre delle prospettive. Tutti i bambini di Napoli, del Sud, non si erano mai spostati dalle loro città, e dal disagio di quei tempi si aprirono ad altre realtà.»
Oggi sarebbe possibile replicare quell’esperienza?
«Non credo. Ormai viviamo in una società non a misura di bambino, ma orientato al bambino in un senso strano: c’è una grande attenzione verso di loro e questi non verrebbero lasciati nelle mani di persone sconosciute. Questo tipo di attenzione non crea una socializzazione come avviene in situazioni più corali, dove c’è un gruppo. Non ci si mischia più.»
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