Napoli. No agli allevamenti di animali da pelliccia, “La sofferenza non può creare moda”
NAPOLI – Il giorno 4 marzo alle ore 16:00, in Via Scarlatti ha avuto luogo la manifestazione “Post-it, ricorda chi era la tua pelliccia”, organizzata da Animal Amnesty e MPPA Onlus, con la partecipazione di LAV, A.M.A. e voce animale 269, per informare e sensibilizzare i cittadini contro l’acquisto di pellicce.
Un gazebo con striscioni e foto, la distribuzione di materiale informativo, un’attivista simbolicamente rinchiusa in gabbia: tanti cittadini hanno mostrato interesse e curiosità per una manifestazione che al centro ha posto un tema già da tempo dibattuto in Italia, la produzione e l’uso delle pellicce.
Anche se 8 italiani su 10 (Dati Eurispes – Rapporto Italia 2011) sono contrari al suddetto utilizzo, sono ancora tanti gli allevamenti aperti sul nostro territorio. Nel periodo che va dall’anno 2005 al 2009 in Italia la richiesta e il mercato erano in calo, ma dal 2010 il settore dell’abbigliamento, rispetto alle pellicce, ha trovato nuova linfa, proponendo quest’ultime come accessori o inserti per cappotti, cappelli, borse, scarpe. In Europa, i dati raccolti dagli attivisti raccontano di circa 7.000 allevamenti in Europa che realizzano ogni anno il 60% di produzione mondiale delle pelle di visone, con lo sfruttamento di 30 milioni di animali. La percentuale di pellicce provenienti da allevamenti intensivi è pari all’85%.
I visoni dunque, ma anche le volpi, i conigli e le oche, spiumate ogni due mesi senza anestesia, e tanti altri animali che in modalità diversa subiscono lo stesso trattamento. Negli anni le lotte degli attivisti hanno prodotto un’attenzione maggiore dell’opinione pubblica, con una conseguente crescita di sensibilità verso i diritti degli animali: i governi di Austria, Regno Unito, Croazia, Serbia, Slovenia, Macedonia e Bosnia hanno stabilito un divieto totale di allevamento di animali destinato alle pellicce, in Olanda il divieto entrerà in vigore solo nel 2024, in Germania e Svezia risulta invece essere altamente antieconomico questo tipo di allevamento.
In Italia, i cui allevamenti riguardano i visoni, circa 200.000 animali detenuti, la situazione è bloccata: da anni la LAV ne propone l’abolizione definitiva attraverso campagne di sensibilizzazione e una proposta di legge pronta e da tempo ‘congelata’. Proprio per questa ragione, secondo i presenti, è fondamentale sensibilizzare il cittadino, e attraverso l’attenzione dell’opinione pubblica invocare la chiusura dei suddetti allevamenti.
Gli attivisti, durante la manifestazione, hanno consigliato ai cittadini interessati di porre attenzione all’etichetta prima dell’acquisto di capi d’abbigliamento: se composti di pelliccia, piume o pelle, l’etichetta avrà la dicitura “contiene parti non tessili di origini animale”, se in materiale sintetico avrà la dicitura “no fur” (Assenza di pelliccia – ndr). Inoltre hanno ricordato alcuni gesti semplici da fare per riconoscere una pelliccia vera da una finta, come la prova dello spillo, che penetrerà facilmente nel caso di un tessuto sintetico, o strappare alcuni peli da un capo e una volta bruciati, osservare se si sciolgono o meno come plastica.
Alle persone interessate è stato chiesto di scrivere liberamente alcune parole su dei post-it, così da imprimere nella memoria quel momento e ricordarsene in futuro, magari prima dell’acquisto di un capo con inserti in pelliccia. Al riguardo, durante la manifestazione abbiamo avvicinato Giulia Pingue, attivista di Animal Amnesty, per rivolgerle alcune domande.
Ci parla della manifestazione?
«Ha lo scopo di sensibilizzare e informare i cittadini. Le persone non sono a conoscenza del fatto che molti inserti derivano dallo sfruttamento e dalla sofferenza animale. E’ il caso per esempio anche dei guanti, o i pon pon dei cappellini. In Italia ci sono degli allevamenti di pelliccia, gli animali vivono in gabbie piccolissime, spesso in condizioni estreme e sono impossibilitati a svolgere le loro funzioni etologiche.»
Cosa succede agli animali in gabbia?
«Gli animali vengono uccisi con elettrodi inseriti tra l’ano e la bocca o nelle camere a gas, alcune delle quali molto rudimentali. Spesso queste sono semplicemente delle gabbie di legno, al cui interno sono posti i gas di scarico dei trattori. Gli animali più piccoli spesso invece subiscono la frattura del collo. Questa è una sofferenza assolutamente inutile poiché con i materiali sintetici è ugualmente possibile stare al caldo.»
Il trend di acquisto dei capi d’abbigliamento composti di pelliccia è in calo?
«Purtroppo negli ultimi anni si è visto un aumento di richiesta di capi con pelliccia, anche tra i giovani. Molte grandi firme hanno rinunciato alla pelliccia, mentre altre, anche piccole catene, continuano ad avere la doppia produzione: è tutto nelle mani del consumatore, è lui che può far calare la richiesta. In Europa sono vietate le tagliole e la cattura dell’animale selvatico, ma l’allevamento è invece consentito poiché la domanda è ancora alta.»
Cosa si intende per allevamento di animale da pelliccia?
«Gli animali in questo caso sono allevati per essere uccisi. Vivono poco, per loro fortuna a questo punto. Le oche a esempio vengono spiumate due o tre volte, finché resistono, le piume contenute nei cappotti non sono certo perse e poi raccolte, come credono in molti.»
Sono previste altre attività di sensibilizzazione prossimamente?
«Riguardo gli animali da pelliccia e gli allevamenti le attività per questa stagione sono finite. E’ una cosa che facciamo ogni anno, sperando nella sensibilità sempre maggiore delle persone. Adesso attaccheremo con la campagna contro la mattanza degli agnelli pasquali.»
Ci lascia con uno slogan?
«La sofferenza non può creare moda.»
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