Palermo. Viaggio nel precariato
PALERMO – Ogni mattina migliaia di giovani escono di casa per andare a lavoro. Nonostante ciò che si afferma comunemente, a Palermo si lavora molto, quel che manca è la certezza di uno stipendio adeguato o la garanzia di poter godere di diritti, come i giorni di malattia o le ferie pagate, che si pensava fossero certezze per ogni lavoratore. Li abbiamo ascoltati questi giovani, ciò che è emerso è un quadro disperato del mondo del lavoro.
Pur di mantenere il posto di lavoro infatti molti giovani rinunciano ai diritti, con l’amara consapevolezza di non poter trovare di meglio. Se lo tengono stretti quel posto da commessi, camerieri, segretari o impiegati, perchè «di questi tempi è già tanto arrivare a fine mese», come dice Roberta, 25 anni, diplomata: Roberta lavora da quando, a diciannove anni, ha deciso di lasciare casa dei suoi per vivere la sua indipendenza. «All’inizio – ci racconta – sembrava tutto facile: avevo trovato diversi lavoretti come cameriera o baby-sitter, e le cose sembravano andare per il meglio. A Palermo in fondo la vita è meno cara, rispetto ad altre città italiane, e con uno stipendio di 500 euro riuscivo a pagare una stanza e le spese, e a vivere serenamente». Sfortunatamente poco dopo è arrivata la crisi: «La gente ha cominciato a risparmiare su ciò che non era essenziale, come le ripetizioni per i figli o le pulizie in casa, così i miei lavoretti si sono dimezzati». Oggi Roberta si arrangia come può, accettando qualsiasi lavoro, anche quelli che all’inizio aveva rifiutato, come «i lavori a provvigione, che non ti garantiscono nemmeno un fisso minimo giornaliero». Alla nostra domanda: come vedi il tuo futuro?, Roberta risponde con uno sguardo preoccupato, che parla da sè.
Alice invece, anche lei 25 anni, è entrata di recente nel mondo del lavoro. Laureata in Lettere da pochi mesi, cerca di barcamenarsi tra uffici, ripetizioni e week end nei pub della città, pur di riuscire a rimanere lontana da casa. Nonostante i suoi sforzi, ha ancora bisogno dell’aiuto dei suoi per poter sostenere tutte le spese necessarie. «Al momento mi va bene qualsiasi cosa – ci racconta – non ho pregiudizi verso alcuna professione, nemmeno verso quelle lontane dal mio percorso di studi. L’importante è riuscire a pagare l’affitto, e perchè no, provare a mettere qualcosa da parte per pagare un master o una specializzazione».
«Quando lavoravo come barman – ricorda invece Giorgio, 24 anni, con amarezza – guadagnavo circa 900 euro al mese. Avevo poco più di vent’anni e mi sembrava una fortuna, anche perchè vivevo ancora con i miei genitori e non avevo particolari spese. Il lavoro era pesante, dalle sei del pomeriggio fino alla chiusura del locale, ma stavo a contatto con la gente e in fondo mi divertivo pure». Anche Giorgio però ha dovuto fare i conti con la disillusione portata dalla crisi economica: «Il locale ha dovuto dichiarare fallimento circa un anno fa, e così mi sono ritrovato senza certezze nè risparmi. I pochi soldi che avevo messo da parte li ho spesi per un corso di perfezionamento e per pagare gli ultimi mesi di affitto, dato che avevo deciso di andare a vivere con un amico, anche lui lavoratore. Ma dopo aver cercato altri lavori, senza successo, sono dovuto tornare dai miei».
Di storie come quelle di Roberta, Alice e Giorgio ne ascoltiamo a centinaia. Oggi, con il drastico calo delle attività lavorative, le condizioni sono peggiorate ancora di più. «Io lavoro dieci ore al giorno, week end e festivi inclusi – racconta Caterina, 22 anni, commessa – per soli 600 euro di stipendio. Non ho diritto a giorni di malattia, se un giorno sto male e resto a casa ne perdo uno di ferie». E anche i giorni di ferie sono pochissimi se confrontati con quelli che le spetterebbero. Alla nostra domanda: perché non ti licenzi?, Caterina risponde così: «Per una che se ne va, ne arrivano altre cento pronte a sostituirla e ad accettare quel lavoro con un compenso ancora più basso. Ecco perchè le cose non cambieranno mai: c’è sempre qualcuno disposto a lavorare per una miseria o ad accettare condizioni al limite dello sfruttamento. Se provi a ribellarti, sei licenziato». E in giro, come si è visto, non è affatto facile trovare di meglio.
Qualcuno tuttavia ha un lavoro decente e se lo tiene stretto, consapevole di essere un ‘privilegiato’, così infatti si definisce Andrea, 29 anni, che da qualche mese è stato assunto presso una catena internazionale di negozi: «Sono fortunato perchè il mio stipendio, le mie ferie e i miei diritti vengono gestiti direttamente dalla sede centrale, e rispondono alle linee guida nazionali e internazionali. Ho uno stupendio di 1500 euro al mese, più dei bonus per gli straordinari nei giorni festivi, le ferie pagate e garantite, e la possibilità di fare carriera». Ma anche Andrea in passato ha dovuto piegarsi alle logiche del mercato del lavoro: «Ho fatto di tutto, anche durante il periodo degli studi: cameriere, fattorino, ho persino lavorato in campagna, che tuttavia non è stata l’esperienza peggiore, anzi!». E qual è stata la peggiore? «I due mesi in cui ho venduto contratti telefonici porta a porta: dovevo girare per la Sicilia, a volte anche otto, nove ore al giorno. Tutto a spese mie, senza un fisso nè garanzie. Se non chiudevo almeno un contratto perdevo la giornata, quindi ci rimettevo addirittura la benzina o i pasti fuori casa. Per fortuna è durata poco!».
In uno scenario come questo, in cui vivere significa spesso sopravvivere giorno per giorno o dipendere ancora dalla famiglia, sono molti i giovani che immaginano altrove il proprio futuro. Fuori dalla Sicilia innanzitutto o addirittura all’estero. «Sto raccogliendo i soldi per trasferirmi – spiega Nicola, 26 anni, laureato in architettura – e magari accedere a un master fuori dall’Italia. Qui l’università fa ben poco per inserire i giovani nel mondo del lavoro». Nicola ha saputo inventarsi dei lavoretti indipendenti, sfruttando le proprie capacità in ambito tecnologico e informatico: «Offro servizi agli studenti, a basso costo. Me la cavo bene con la tecnologia, così sono riuscito a crearmi un giro di riparazioni, e in questo modo gestisco da me orari e pagamenti, e non dipendo da nessuno». E quanto riesci a guadagnare? «Dipende dai periodi. A volte ho superato i 700 euro mensili, che è più dello stipendio medio di un impiegato, con un paio di ore di lavoro al giorno. Altre volte però i lavori scarseggiano e sono costretto a fare altro, o a chiedere aiuto ai miei parenti». Nicola ha le idee abbastanza chiare sul mondo del lavoro e sul suo futuro: «L’unico modo per non cadere vittime di imprenditori o professionisti ‘schiavisti’ è inventarsi il proprio business: se sai fare qualcosa in modo indipendente, difficilmente qualcuno potrà sfruttarti. Hai il tuo lavoro e puoi svolgerlo ovunque, in Italia o all’estero». Quindi esiste ancora qualche speranza? «Esiste. È difficile, ma esiste. Bisogna essere furbi, non accontentarsi della prima posizione lavorativa che ci viene offerta. E soprattutto bisogna essere pronti a cogliere le opportunità, anche a costo di fare sacrifici o allontanarsi da casa. Siamo noi a dovere inseguire il futuro, non il futuro a inseguire noi».
By Giulia Citta