Roma. Ultima tappa della campagna #OverTheFortress
ROMA – In data 22 dicembre si è conclusa a Roma la campagna #OverTheFortress, iniziata nell’agosto 2015 per documentare le condizioni di quanti tentavano di attraversare il confine serbo-ungherese e raggiungere l’Europa attraverso la “rotta balcanica”. La campagna, partita dalla Grecia, in particolare dai campi governativi di Idomeni e Salonicco, aveva raggiunto il territorio italiano lo scorso ottobre, e dopo la prima tappa a Pozzallo ha toccato molte regioni del sud Italia.
Dopo 3.400 chilometri percorsi si è arrivati alla tappa finale della campagna, che negli ultimi due mesi ha condotto sul territorio un viaggio di monitoraggio e inchiesta che, partendo dalla frontiera meridionale della penisola, ha documentato i volti della buona e della cattiva accoglienza delle diverse città e regioni italiane. Durante l’incontro, tenutosi alla Città dell’Altra Economia, gli attivisti Tommaso Gandini e Stefano Danieli hanno raccontato le realtà che hanno incontrato durante il viaggio: esempi virtuosi come i casi di occupazione abitativa nella città di Bari, dove migranti e italiani vivono insieme in una completa autogestione fatta di assemblee; oppure il progetto SPRAR della città calabrese di Riace, divenuto ormai famoso in tutto il mondo come modello di integrazione, ma anche tante denunce del frammentato nonchè precario sistema di accoglienza. Un esempio è rappresentato dall’approccio hotspot promosso dall’Unione Europea per identificare migranti e rifugiati al momento dell’arrivo, che è stato oggetto non solo della campagna, ma anche di un rapporto pubblicato da Amnesty International. Sono state infatti denunciate, attraverso le testimonianze raccolte, le intimidazioni e l’uso eccessivo della forza fisica utilizzati per l’identificazione all’interno dei centri, definiti “luoghi di progressiva disumanizzazione”, e visti solo dall’esterno poichè a nessuno è consentito entrarci.
Altra situazione delicata è l’estrema militarizzazione dei luoghi di sbarco, che porta spesso a un’ulteriore trauma per le persone che, con molta probabilità, prima di imbarcarsi hanno dovuto trascorrere un periodo di tempo in Libia, paese in cui frequenti sono le violazioni dei diritti umani. Inoltre esiste una vera e propria “linea di fuoco” per le telecamere che riprendono soltanto gli sbarchi e gli aiuti forniti: ci sono infatti luoghi, non compresi negli spazi da poter riprendere, in cui i migranti sono stipati per il foto segnalamento e le perquisizioni. L’approccio hotspot va dunque inquadrato nel tentativo di esternalizzare le frontiere, insieme ai recenti accordi stretti dall’Unione Europea e alla collaborazione con la Guardia Costiera Libica.
By Carmela Guida Aquilante