Salute del piede. Il Prof. Avagnina spiega come salvaguardarla
SANREMO – Secondo recenti statistiche, circa il 90% della popolazione ha avuto, ha o avrà problemi ai piedi. In genere i medici non specialisti affrontano solo tre patologie: metatarsalgie, se riguardano la parte anteriore dei piedi; plantalgie o fasciti, se riguardano la parte centrale; e talloniti se riguardano la parte posteriore. In realtà il piede potrebbe essere affetto da centinaia di diverse patologie che hanno a che fare con una precisa struttura coinvolta: tendini, guaine, ossa, articolazioni, capsula, sinovia, borsa; e da diverse patologie di origine generale come quelle vascolari, reumatiche, diabetiche; per finire con quelle legate ai differenti stadi della vita o alle attività svolte, come le problematiche pediatriche, geriatriche, professionali lavorative o sportive. Ma come si studia il piede e come viene valutata la salute generale? Ne abbiamo discusso con il Prof. Luca Avagnina, Podoiatra presso l’Università spagnola di Barcellona Manresa FUB.
«I migliori strumenti diagnostici per studiare il piede dovrebbero essere senza dubbio l’esame obiettivo biomeccanico e posturale, affiancati da specifici test clinici di verifica e differenziazione.»
In cosa consiste la patologia del piede diabetico e come viene diagnosticata e trattata?
«Il diabete colpisce i piedi in maniera devastante molte volte, purtroppo fino a giungere alla formazione di vere e proprie ulcere definite appunto diabetiche che, se non trattate bene e in tempo, possono portare all’amputazione del piede stesso. Essendo presenti cause di origine vascolare, metaboliche, biomeccaniche ed infettivologiche, il paziente in questione deve essere preso in carico da un team multidisciplinare che includa il podoiatra, ma anche il diabetologo, il chirurgo vascolare, il riabilitatore, il dietologo, e altri ancora. Il podoiatra si occupa soprattutto, in fase preventiva, acuta e postacuta, di scaricare le zone di iperpressione a rischio ulcerativo attraverso una mirata terapia ortesica plantare di misura su calco e con la prescrizione di scarpe ortopediche o tutori adeguati. In caso di ulcere in atto può prendersi carico della medicazione delle stesse con speciali preparati rigenerativi o attraverso l’uso della ozonoterapia locale. In ogni caso deve affiancarsi al diabetologo per il controllo della iperglicemia alla base della malattia, o al vascolare nei casi in cui ci sia una grave deficienza vascolare conclamata.»
Esistono indagini di laboratorio per evidenziare patologie in corso a carico del piede?
«Tutti gli strumenti di analisi ematica possono aiutare il podoiatra a capire se ci sia un’infezione in corso: pcr, ves, e altri; o il glucosio; o indagare su fattori reumatici: Ra test, anticitrullina e altri»
Quali sono le prospettive future per quanto riguarda la diagnosi e le nuove terapie?
«Sicuramente oggi la vera differenza podoitarica sta nelle due più moderne terapie: la top-terapia ortesica plantare, che non ha nulla a vedere con i cosiddetti “plantari”; la mis-minimal invasive surgery, che non ha nulla a che vedere con la vecchia chirurgia del piede open.»
Vuole sfatare un mito o una falsa credenza al riguardo?
«Non esistono solo i piedi piatti o i piedi cavi! I medici sono stati educati a classificare i piedi in questo modo molto semplicistico e basato esclusivamente solo sul tipo di orma plantare che si vede attraverso un apparecchio denominato podoscopio, apparecchio che ora è stato soppiantato dai moderni mezzi di studio funzionale dei piedi, soprattutto in dinamica del movimento e non più con questo obsoleto studio solo morfologico e solo statico. La seconda credenza che mi viene da sfatare è che i plantari non servano a niente! Gli ortopedici sono stati educati per anni dai guru della ortopedia moderna a considerare il plantare solo come un prodotto di vendita commerciale in cui l’unica variabile era il colore. In realtà la terapia ortesica plantare permette migliaia di variabili terapeutiche esattamente come la terapia farmacologica. Infine, non è vero che con la chirurgia si risolve tutto. I chirurghi del piede per anni hanno fatto credere che per qualsiasi problema dei piedi, come ad esempio l’alluce valgo, bastasse operare per risolverne il problema, evitando di studiarlo per spiegare le vere cause: il numero di recidive e/o di insuccessi sono trasformati poi in alluci rigidi o ipervari, o ipermobili o iperrigidi. La chirurgia va bene per esempio nel caso della terapia ortesica plantare, che viene fatta seguendo rigorosi e precisi criteri biomeccanici e posturali che agiscono anche sulle cause e non solo sui sintomi.»
Il ruolo del podologo nei prossimi anni?
«Il modello del podologo italiano é ancora lontano dal modello del podoiatra americano a cui io mi riferisco e con il quale mi identifico e lavoro, ma attraverso percorsi di implementazione universitaria è possibile ampliare di 1 o 2 anni l’attuale percorso di studi universitari italiani, che a mio avviso è già oggi obsoleto e anacronistico rispetto alle altre realtà europee e americane. Si potrà formare una nuova categoria di professionisti sanitari preparati e specializzati nella diagnosi e cura dei disturbi dei piedi con una visione più mirata e specifica. Il podoiatra del futuro sarà dunque un bravo clinico, un bravo terapeuta e un bravo chirurgo dei piedi sul modello dei nostri odontoiatri per ciò che concerne la bocca.».
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