Sarno. Questa mattina raccolti generi di prima necessità per i migranti di Idomeni
SARNO – Questa mattina a Sarno, cittadina in provincia di Salerno, è stato allestito in Piazza V Maggio uno stand per raccogliere generi di prima necessità da inviare a Idomeni, località al confine tra la Grecia e la Macedonia, dove decine di migliaia di migranti provenienti dalla Siria, dall’Iraq e l’Afghanistan sono bloccati in attesa di iniziare la procedura di richiesta asilo, che dovrebbe essere inoltrata via Skype, ma che nonostante la tecnologia presenta tempi di attesa lunghissimi. I migranti, bloccati in questo lembo di terra dopo la chiusura della frontiera macedone, ormai più di tre mesi fa, versano in condizioni disastrose: vivono infatti in vere e proprie tendopoli, installate a qualche chilometro dal confine greco.
In occasione della raccolta abbiamo rivolto le nostre domande a Emilio Mesanovic, giovane attivista e mediatore culturale per i Diritti umani, che opera proprio presso il centro di Idomeni.
Emilio come nasce il suo impegno per questa causa?
«Il mio impegno nasce dalla voglia di volermi rendere utile, di fare qualcosa per riuscire a garantire i diritti umani a persone che scappano da una guerra che principalmente gli Stati che detengono l’egemonia economica, e dunque il potere, hanno contribuito a creare nei Paesi da cui i migranti provengono.»
E’ parte di un’organizzazione?
«Non faccio parte di alcuna associazione, ma di un movimento che nasce totalmente dal basso ed è autogestito e autorganizzato, finanziato da nessun ente, e che prende il nome di “Collettivo Small Acts”. Già ci siamo occupati, a livello locale, di questioni ambientali; poi avendo lavorato già in Italia con numerosi centri di accoglienza per rifugiati, abbiamo sentito la necessità di dare il nostro contributo.»
Perché avete costituito il collettivo?
«Nasce dall’esigenza che abbiamo di provare a fare qualcosa di utile per l’assetto sociale e il momento storico in cui ci troviamo.»
Come si svolge la vita nei centri di accoglienza?
«Noi eravamo sul campo già a partire dalle 5 di mattina, c’erano varie attività da svolgere che prevedevano, a esempio, portare la benzina ai generatori elettrici installati con l’aiuto di altri volontari; oppure organizzare progetti come i “Cleaning day”, ossia raccolte dei rifiuti all’interno del campo che coinvolgevano i bambini, ai quali fornivamo dei guanti e una busta di plastica, e ai quali spiegavamo l’importanza dell’educazione e della tutela ambientale. A fine raccolta gli regalavamo un giochino come premio per dargli un po’ di entusiasmo, e soprattutto per fargli capire che noi siamo con loro per farli ritornare alla normalità, che è ciò di cui necessitano più di ogni altra cosa. Tra i vari progetti che venivano condotti sul campo, uno dei più importanti era quello della ricerca dei minori non accompagnati: il nostro impegno era dar loro una mano e cercare un ricongiungimento familiare con qualche parente in Europa. Il problema però è che al momento la situazione è bloccata: le chiamate Skype non funzionano e di conseguenza anche i ricongiungimenti familiari e il sistema è praticamente bloccato.»
Le sue considerazioni circa l’attuale situazione?
«Sono convinto che nel 2016 la soluzione al problema non sia quella di alzare muri e chiudere le frontiere, impedendo così alle persone di richiedere asilo. Credo che nel mondo, ora più che mai, ci sia bisogno di condivisione e umanità, e di certo le soluzioni non si trovano nelle barriere che anche la Comunità Europea sta innalzando contro i diritti fondamentali delle persone.».
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