Solidarietà. Contro la desertificazione, 80 pozzi per la Guinea
ACIREALE – Domenica 17 giugno si celebrerà la Giornata Mondiale per la lotta contro la desertificazione, istituita nel 95′ per combattere la desertificazione e gli effetti della siccità.
La desertificazione è un processo climatico-ambientale, accelerato dall’attività umana, che comporta un aumento delle temperature e una significativa riduzione delle precipitazioni, così generando aridità e trasformando l’ambiente naturale in deserto.
Un problema gravissimo che riguarda tutti i continenti: almeno un quarto delle aree aride della Terra infatti è già a rischio desertificazione, e circa il 41% della superficie terrestre sono aree siccitose. L’allarme è stato lanciato dall’IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, in Cina durante la Conferenza indetta dalle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione.
I continenti più a rischio sono l’Africa, seguito da Asia, Oceania e America meridionale, infine, anche se in minor misura, Europa e America settentrionale. In Italia, già negli studi condotti nel 2015 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, emerse un rischio per il 21% della penisola e il CNR suggerì “un approccio sistematico al problema, capace di riportare in equilibrio ecologico i territori a rischio”, l’appello purtroppo non è stato raccolto dalle Istituzioni del nostro Paese né dagli altri Stati, distratti da problemi come la crisi economica e immigrazione, ma è stato raccolto da tante piccole associazioni italiane che operano silenziosamente e in anonimato, come l’associazione italiana “Amici delle Missioni” con sede in Acireale, in provincia di Catania, in Sicilia, che da venti anni è in prima linea per realizzare pozzi, scuole e ospedali nei vari villaggi della Guinea Bissau. Al riguardo abbiamo incontrato Sebastiano Genco, diacono, infermiere e presidente dell’associazione.
Quando è nata l’associazione “Amici delle Missioni”
«La nostra associazione è nata nel 98′, è formata da volontari e ogni anno, da 20 anni, nei mesi di febbraio e ottobre ci rechiamo in Guinea per prestare la nostra opera umanitaria, sviluppando progetti a sostegno di quel Paese. Siamo riusciti a realizzare, grazie al Vescovo guineo Mons. José Camnate, ai missionari e ai capi villaggio delle varie tabanke e all’equipe di suore, medici, infermieri e con le tante donazioni da parte di privati, ben 80 pozzi nei vari villaggi di Ingore, Bula, Plum e Farim.»
Ma non solo pozzi, vero?
«Sì, abbiamo anche costruito un ospedale a Bula, nato come centro nutrizionale, e nel 2017 abbiamo iniziato i lavori per l’ala maternità che ospiterà due sale parto, una reparto pre-parto e l’infermeria. Per quanto riguarda la scuola abbiamo costruito due asili a Caio e Jolandin e due scuole elementari a Canchungo e Bula, e sempre a Bula un liceo dedicato a Giovanni Paolo II. Alcuni dei nostri ragazzi hanno scelto di andare all’università e la cosa ci riempie di gioia».
Perché avete scelto la Guinea Bissau?
«Ho conosciuto durante il mio lavoro in ospedale, dove facevo l’infermiere, una suora della comunità di suore “del Preziosissimo sangue di Cristo”, in missione da anni a Bula, un piccolo villaggio della Guinea Bissau, e mi sono subito sentito coinvolto; così mi sono promesso che appena in pensione l’avrei seguita. Nel 1998 ho iniziato la mia missione in Guinea, un’esperienza che mi ha cambiato la vita. Ho visto l’estrema povertà e le condizioni di vita degli abitanti: si partoriva in casa, la malnutrizione, e la mancanza di igiene, erano le principali cause di mortalità. Sicuramente la cosa che mi colpì subito fu entrare in chiesa e vedere solo giovani, mi chiesi: “dove sono gli anziani?”. Ma soprattutto vidi che molte ragazzine tra i 15 e i 16 anni avevano già dei bambini. Oggi siamo fieri di poter dire che le ragazze che hanno frequentato il nostro liceo vogliono continuare gli studi e sono molto ambiziose di realizzare una carriera».
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