Teatro. Massimo Peluso, Giudice di Viviani
NAPOLI – Iniziato il Napoli Teatro Festival Italia, incontriamo uno dei protagonisti della rassegna, Massimo Peluso, in scena domenica 19 luglio, nel Cortile delle Carrozze del Palazzo Reale di Napoli, con lo spettacolo “Processo a Viviani” scritto e diretto da Corrado Ardone, interpretato da Mario Aterrano, nel ruolo di Raffaele Viviani, e da Massimo Peluso appunto, in quello del Giudice.
Massimo Peluso è nato a Napoli il 17 novembre del 1972. Si è formato all’accademia del teatro Augusteo, dove ha conosciuto Corrado Ardone ed Ettore Massa, con i quali ha formato il trio Ardone Peluso Massa, che per oltre dieci anni ha messo in scena più di mille spettacoli, partecipando a format televisivi come Zelig, Colorado, Striscia la notizia e altri ancora.
Uno dei suoi maggiori successi è legato al film satirico “Sodoma, l’altra faccia di Gomorra”, che ha ricevuto riconoscimenti come il “New York Award 2012”.
E’ autore teatrale, ha scritto commedie di successo come “Giovane in pensione”, “Il mistero fatto in casa”, oltre che interprete di fiction come “Anni 50” con la regia di Carlo Vanzina, e “La Squadra” per la RAI. Ed è anche componente della compagnia stabile del teatro Sannazaro, da oltre dieci anni, interprete di testi di Raffaele Viviani come “Festa di Piedigrotta”, “Festa di Montevergine”, ma anche “Masaniello” di Elvio Porta e Armando Pugliese, per la regia di Lara Sansone.
Abbiamo raggiunto l’artista durante le prove dello spettacolo “Processo a Viviani”, che narra sotto forma di processo gli ostacoli imposti dal fascismo alla messa in scena delle opere del drammaturgo, per pubblicare il suo pensiero riguardo il ruolo che interpreterà.
Ci racconta il suo ruolo?
«In questo spettacolo io sono il Giudice, un fantomatico inquisitore di un processo che Viviani non ha mai avuto, è uno spettacolo che parla della vita del drammaturgo, di quello che ha dovuto soffrire, dei suoi amori»
Come affronta questa interpretazione da accusatore del grande Viviani?
«Per gli attori della nostra generazione, che sono cresciuti e si sono formati attraverso lo studio e la messa in scena delle sue opere, accusare o giudicare Viviani non è cosa facile. Mi sono letteralmente immerso in quell’epoca, in quel periodo storico così difficile e così buio da affrontare. Logicamente mi ritrovo nei panni di coloro che, indottrinati dagli ideali di regime, ostacolavano e rendevano una vita già difficile ancora più dura da affrontare. Non è semplice immedesimarsi in un personaggio a volte anche crudele, ma se c’è una cosa che la storia ci insegna è che questo tipo di persone, mosse da un ideale o da un credo malato, sono sempre esistite e forse sempre esisteranno.»
Cosa rappresenta per lei Viviani?
«Raffaele Viviani per me rappresenta più di tantissimi autori napoletani le nostre vere origini, le viscere della nostra storia e il vissuto reale della nostra città. Nel mio immaginario Viviani è come un pittore che utilizza come tela le nostre tradizioni, e con la penna, a mo’ di pennello, ritrae e fissa su carta le voci e i suoni dei vicoli. I suo colori sono le arie, le musiche e i rumori delle nostre piazze. Fissando così nelle nostre menti un immagine, un quadro nudo e sincero di Napoli che potrà essere ammirato per sempre.»