Verso lo Sciopero Generale del 10 novembre. Report dall’assemblea pubblica
MILANO – Sabato 4 novembre la USB, Unione Sindacale di Base, ha indetto un incontro pubblico per discutere i temi che hanno scatenato la necessità dello sciopero generale nazionale di venerdì 10 novembre. Alla situazione attuale sembra esserci una drastica necessità di discutere e chiarire le dinamiche che concorrono alle condizioni di disagio che la popolazione si trova ad affrontare quotidianamente.
I punti salienti non sono pochi, e sono soprattutto temi caldi: il diritto all’abitare, alla buona istruzione, alla sanità pubblica, al reddito, alla pensione; contro lo sfruttamento dei lavoratori, contro il lavoro precario, contro la privatizzazione selvaggia di qualsiasi aspetto della quotidianità, contro la deriva autoritaria in atto. I sindacati sostengono che la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la discussione in merito all’adozione di nuove politiche per la riduzione del diritto di sciopero.
Al tavolo del dibattito Mauro Casadio, rappresentante di Eurostop, movimento sociale e politico che si batte per l’abbandono dell’Euro e la rottura della UE e della NATO, che ha denunciato un appiattimento del conflitto, con una mancanza di azione da parte dei maggiori sindacati nazionali, fatta esclusione per quelli che stanno appoggiando lo sciopero in divenire del 10 novembre, e la successiva manifestazione dell’11 novembre. Ha notificato anche come la notizia del “superamento della crisi”, sventolata dai politici nostrani, sia in realtà una mezza verità, nel senso che chi sta risollevandosi dalla crisi è solo una certa tipologia di imprese, grazie agli aiuti finanziari statali. Chi non l’ha ancora superata sono le fasce economicamente più deboli: i lavoratori, i disoccupati, i migranti. Casadio si è chiesto come mai questa famigerata crisi è così ardua da affrontare? A chi è imputabile? Il perno della questione sembrerebbe essere l’Unione Europea, che a suo dire non è un progetto genuinamente democratico “ma un processo di riorganizzazione produttiva e di gerarchizzazione per aree geografiche e per settori economici, all’interno del quale un continuo scontro interno competitivo fra più parti ne va determinando i caratteri. E determina anche quali settori economici vengono valorizzati, quali aree verranno penalizzate e altro ancora, in una dimensione che va contro il pubblico per favorire le privatizzazioni. Questo è il meccanismo che sta favorendo la crescita di alcuni settori e la svalutazione di altri, che implica anche un processo repressivo poichè l’andamento economico si ripercuote sulle azioni politiche, basti pensare alla questione dei migranti.”. Casadio ha denunciato inoltre un’azione politica che tende a limitare e contenere cortei e manifestazioni: “addirittura per lo sciopero del 10 novembre a Roma volevano impedire il corteo dell’USB. É una tattica del Ministero degli Interni che mira a contenere, perché sanno che il malessere sociale è forte”.
Un’altra questione calda portata all’attenzione dell’assemblea riguarda i migranti, considerati nella loro identità di lavoratori all’interno del mercato italiano. In particolare si fa rifermento a quella fascia di lavoratori che operano all’interno del settore della logistica, i quali si trovano ad avere una forza contrattuale non indifferente, in quanto ingranaggi fondamentali del processo capitalistico di distribuzione delle merci destinate alla vendita. Loro portavoce all’assemblea era Bettache Mohammed, che ha raccontato come gli scioperi nel loro settore, specialmente in Nord Italia, si susseguano quasi giornalmente. “Non si ci può fermare solo all’azione del 10 novembre”, ha dichiarato Bettache, “ma bisogna costantemente lottare finché i diritti richiesti non vengano riconosciuti.”. Auspica quindi l’unione dei lavoratori di qualsiasi categoria, della popolazione in generale, affinché la collaborazione porti i suoi frutti.
Moni Ovadia, attore-scrittore-intellettuale, ha posto l’attenzione sulla questione della dignità umana. La sua riflessione è partita dall’idea che la dignità preceda i sistemi giuridici, essendo un valore assoluto che l’uomo riconosce in sé e quindi anche nel suo simile, presentando dunque due facce, quella soggettiva e quella sociale. Ha sostenuto che “la dignità del lavoratore non può essere in nessun modo intaccata, per cui il salario deve essere adeguato alle condizioni di vita, vita non sopravvivenza. Non è accettabile la retorica secondo cui il lavoro costi troppo, per cui bisogna ridurre i costi, dunque licenziare, o precariarizzare il lavoro stesso. Allora la dignità diventa il perno centrale del senso della vita umana stessa: non siamo su questo pianeta per consumare e lavorare per produrre. Eppure questo sembra essere il sistema che ci viene imposto: il lavoro nei giorni di festa, oppure gli orari full time massacranti che non lasciano il tempo per coltivare se stessi, gli interessi, la famiglia, gli amici, il tempo per il confronto all’interno del luogo di lavoro, per migliorare la propria condizione.”. Ha denunciato inoltre il ritorno alla schiavitù, ovvero condizione in cui l’individuo per riprodurre la propria esistenza dipende totalmente dalle decisioni di un altro: “chi non subisce non lavora: il lavoro non è più un diritto, ma una regalia. Ecco perché si vuole bandire il conflitto, perché il conflitto mette di fronte alla verità, e la verità non è piacevole.”. Infine ha spostato l’attenzione sull’uso delle parole, e su come, per affrontare determinate tematiche, vengano sostituiti termini normalmente in uso con altri che, seppur identificando lo stesso soggetto, concettualmente apportano una sfumatura diversa: lavoratore-risorsa umana, prostituta-escort. Nel cambiamento del linguaggio si percepisce già il cambiamento operativo, mette in guardia l’intellettuale: “è sempre stato così in tutte le tirannie.”. Ovadia ha quindi messo in risalto come le elezioni politiche siano una farsa e come le decisioni vengano comunque prese dall’alto dal sistema economico finanziario.
Giuseppe, impiegato d’aeroporto, è intervento dal pubblico con una riflessione acuta sulle parole “privato” e “privare”: parole che per loro intrinseco significato tolgono, non apportano. Quindi tutte le discussioni che si aprono attorno alla privatizzazione tolgono, privano il soggetto di qualcosa che potenzialmente ha, cioè non conseguono uno scopo benevolo o sociale. Giuseppe ha proposto al riguardo, come strada da seguire, quella dell’osservanza degli articoli fondamentali della nostra Costituzione: “non ci dobbiamo inventare niente, perché ci fornisce già la ricetta ai mali sociali: prendendo forza dai diritti sanciti dalla Carta costituzionale potremmo mettere in campo dinamiche di contrattazione con quelle forze che giocano a fare il lupo. Tutto quello che ci viene calato dall’alto non è intoccabile o impossibile da negoziare, purtroppo di questo sembra che la maggioranza non si renda conto. E dunque i lupi per evitare di essere disturbati nel loro operare, impoveriscono le libertà di manifestare, di informare.”.
In definitiva dal dibattito emerge l’urgenza di una presa di posizione da parte della popolazione, che sente l’esigenza di mobilitarsi per la sovversione dello stato di cose.