Vita da musicista. Intervista a Giovanni “John” Tammaro
CASALNUOVO – Il mondo della musica attira da sempre moltissimi giovani, prima da ascoltatori e poi da aspiranti musicisti. Trascorrere la vita facendo concerti sembra meraviglioso, un vero e proprio sogno, ma si tende a dimenticare che quello del musicista è un lavoro e come tale richiede impegno e tanti sacrifici. A spiegarci meglio le dinamiche di questo mondo è Giovanni “John” Tammaro, un giovane musicista.
Giovanni Tammaro è un musicista, compositore napoletano classe 1991. Figlio d’arte, si è avvicinato alla musica grazie al padre e all’età di 11 anni ha iniziato a studiare musica da autodidatta. La sua carriera ha preso il via all’età di 16 anni, ma per la sua giovane età è stato spesso messo in discussione. Le difficoltà incontrate lo hanno spinto a dedicarsi in parallelo anche agli studi universitari, conseguendo la laurea in Scienze politiche, tuttavia senza abbandonare l’attività musicale. Grazie alla perseveranza è riuscito a realizzare dei tour in Nord Europa e a produrre dei jingle per note emittenti radiofoniche. Attualmente Giovanni Tammaro sta proseguendo gli studi per la specializzazione, ma è anche a lavoro su un album di inediti.
Sig. Tammaro come è iniziata la sua avventura musicale?
«Sin da ragazzino ho sempre nutrito un forte interesse per la musica. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di musicisti e questo mi ha permesso di essere esposto a tanta musica. Ho passato la mia infanzia ascoltando dischi di ogni genere, ma due album mi hanno cambiato la vita : “Eat the Phikis” di Elio e le Storie Tese; e “Apostophè” di Frank Zappa. Mi ritrovai catapultato in un mondo fantastico, ricco di humor e musica di altissima qualità; lì pensai: “ok, questa è la mia strada”. Mio padre tirò fuori un vecchio Fender Jazz Bass del ’74, un bel pezzo di antiquariato, che ancora oggi mi accompagna nel mio lavoro, e dopo avermi presentato il celebre Jaco Pastorius (Bassista, compositore e produttore discografico statunitense di jazz, fusion e funky – ndr), ho dedicato anima e corpo allo studio dello strumento.»
Studiare musica è stato impegnativo?
«Come ogni disciplina anche la musica richiede tanto impegno e costanza, la cosa che più mi affascina è che non si smette mai di imparare, sapere che puoi sempre fare di più, perfezionandoti giorno dopo giorno, ti aiuta a mantenere una certa elasticità mentale.»
Come si entra in questo mondo?
«Il canale principale è sempre il classico passaparola. Si parte quasi sempre con il gruppo di amici che strimpellano nel garage, per poi passare alla serata al pub sotto casa. Non ci sono delle vere e proprie regole per far parte di questo mondo. Da come la vedo io tutti noi già ne facciamo parte, a prescindere dall’essere un ascoltatore, acquirente o un musicista. Quello che mi sento di dire è che a mio avviso si dovrebbe riformare il sistema scolastico, permettendo allo studente di capire quale strumento gli susciti maggiore interesse, senza imporre il solito flauto o la nostalgica diamonica, ma qui ci addentriamo in un discorso ben più ampio.»
Le difficoltà di una carriera da musicista?
«Le difficoltà per un musicista sono molteplici, perché suonare e farlo professionalmente richiede davvero tanto coraggio e tanti sacrifici e non mi riferisco solo al gruppetto che decide di suonare nei locali per 20 euro, ma anche per coloro che hanno fatto un bel po’ di gavetta e che hanno le famiglie a cui badare. Chi riesce a emergere solitamente ha dalla sua parte tanta forza di volontà e una buona dose di fortuna. Avere i contatti giusti e riuscire a crearsi un proprio pubblico è comunque un elemento decisivo che non va trascurato. In poche parole, mai arrendersi.»
La sua più grande soddisfazione?
«Suonare mi ha dato moltissime soddisfazioni, mi ha permesso di incontrare persone da ogni parte del mondo. Questo è stato possibile anche grazie alle moderne tecnologie social come Facebook e YouTube, grazie alle quali si crea uno scambio culturale che ti arricchisce davvero tanto e ti aiuta a crescere. Il ricordo più bello che ho è stato l’incontro con il chitarrista inglese Guthrie Govan (Chitarrista inglese conosciuto per il suo lavoro con le band Asia, The Aristocrats, GPS e The Fellowship – ndr), una persona straordinaria, quella sera ho raggiunto il Nirvana.»
Organizzare un tour richiede molto impegno?
«Organizzare un tour è davvero faticoso, specialmente in Italia. Bisogna tener presente ogni variabile: service, trasporti, accordi con le strutture che ti ospitano e tutto questo richiede grandi quantità di denaro da investire. Oltretutto gestire un gruppo non è cosa semplice, devi entrare nella mentalità che quel che fai è un lavoro a tutti gli effetti e che se un membro sbaglia viene penalizzato anche il resto del gruppo. Una band è una squadra e quando assumi il comando della squadra devi assicurarti che ognuno faccia il proprio lavoro, altrimenti lo mandi a casa. Ingaggiare musicisti, fare le prove, assegnare le parti, solo la fase di preparazione richiede uno o due mesi»
Il suo nuovo tour?
«Anche se ho sospeso l’attività live con il mio Trio, per dedicarmi all’insegnamento e alla composizione, al momento sono a lavoro su un mio album di inediti. Posso solo assicurarvi che al termine dei lavori ne vedrete delle belle.»
Il suo primo spot: “Better Call John”, ci dice di più?
«Lo spot è un palese riferimento al celebre spin-off di Breaking Bad, “Better call Saul”. Mi sono divertito tantissimo, lo spot è stato un successone, e vedere tutte quelle persone che hanno partecipato attivamente a una simile iniziativa mi ha davvero reso felice. In un certo senso incarno lo spirito del protagonista della serie: entrambi cerchiamo di farci spazio in un mondo in cui la concorrenza è davvero spietata e per farlo facciamo uso della nostra bella faccia tosta e tanto umorismo»
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